Neotenia: evolversi tendendo alla gioventù
La neotenia è un fenomeno noto dello sviluppo degli organismi viventi. Essa comporta che una specie possa presentare tratti acerbi, mancando di maturare del tutto in alcune sue parti o anche nella sua globalità rispetto a specie che l’hanno preceduta nella storia evolutiva. L’anfibio Axolotl, un tipo di salamandra, è un esempio neotenico pregnante: essa non subisce in genere la solita metamorfosi verso la fase adulta, continuando a vivere solo in acqua come larva dalle sembianze ittiche. Poiché gli anfibi sono i progenitori di tutte le creature terrestri, è interessante notare come molti animali superiori abbiano ereditato qualità neoteniche, ricalcando nei concetti portanti la condizione di Axolotl. In particolare, l’essere umano evidenzia un tratto neotenico cruciale: la mancata maturazione del cervello. È proprio questo che ci permette di apprendere di più e più a lungo nella nostra vita.
Con riferimento alla radice etimologica, “neotenia” significa “tendenza alla gioventù”. Il termine scientifico designa la permanenza nella forma e nelle funzioni degli organismi viventi adulti di aspetti immaturi dello sviluppo: una sorta di sindrome di Peter Pan biologica. Gli anfibi (letteralmente: animali a doppia vita) sono una classe evolutiva intermedia tra pesci e rettili e manifestano talvolta marcati aspetti neotenici. Circa 400 milioni di anni fa, uscendo dalle acque marine, essi furono i pionieri nella conquista della terraferma. Noi umani, come tutti gli animali terrestri, siamo i loro discendenti. In che modo la doppia vita acquatica e terrestre degli anfibi e la loro sindrome di Peter Pan biologica possono riguardarci?
Per affrontare il discorso partiamo dalle rane. Tutti sanno che le rane sono anfibi e che nascono come girini per poi trasformarsi radicalmente. Le larve di rana sono simili a quelle dei pesci e questo rispecchia un tratto diffuso nella vita sul globo: i piccoli di una specie hanno spesso caratteristiche in comune con i piccoli di una specie progenitrice. La differenza maggiore concerne la circostanza che i piccoli della specie meno evoluta seguono poi nella vita uno sviluppo minore.
Nel caso della rana le larve, simili a pesciolini, sviluppano a un bel momento zampe, mentre le branchie cedono il passo alla formazione indipendente dei più evoluti polmoni. Alla fine dello stravolgente sviluppo prende corpo una creatura molto mutata che può uscire dall’acqua, respirare nell’aria e compiere grandi balzi sul suolo. Ma il balzo della rana può intendersi anche in senso metaforico ed è su di esso che dobbiamo fare le nostre considerazioni.
Una trasformazione di tale portata richiede in genere modifiche genetiche ingenti e milioni di anni di evoluzione. Nondimeno, gli anfibi riescono a pilotarla in alcune settimane, cavandosela con un unico ceppo di geni che programmano un sistema endocrino ad hoc. È infatti la secrezione di ormoni a indurre l’abbandono della fase larvale. La transizione può essere persino stimolata o inibita artificialmente. Gli ormoni sono una trovata fenomenale della biosfera per indurre modulazioni cospicue dell’accrescimento e del metabolismo degli organismi, senza fare appello a grandi risorse genomiche, sempre critiche da controllare al cospetto della selezione ambientale.
Negli anfibi il sistema endocrino riesce a esprimersi dunque in modo molto marcato, comprimendo il passaggio filogenetico dall’acqua alla terraferma in un solo individuo. In natura vi sono tuttavia degli anfibi che non maturano affatto e che non escono dall’acqua. Un caso interessante è quello di Axolotl, una salamandra originaria del Messico il cui nome rievoca secondo un mito azteco il dio della trasmutazione e della morte. In situazioni normali essa vive per tutti i suoi 15 anni nelle vesti di larva pesciforme e si riproduce in quello stato. Ebbene, Axolotl è un caso interessante di evoluzione neotenica, cioè di animale in cui gli aspetti immaturi dello sviluppo (come il fatto di non subire necessariamente la metamorfosi e di somigliare ai pesci) risultano adattivi, ossia proficui per la sopravvivenza.
L’habitat acquatico è per Axolotl in genere molto meno rischioso di quello attiguo terrestre. Se tuttavia diventa per qualche motivo ostile oppure se si prosciuga, ecco che l’anfibio attiva per stress il proprio apparato endocrino e solo allora subisce la metamorfosi verso lo stadio adulto. Va detto che il passaggio gli può essere fatale e comunque accorcia la sua vita, tuttavia gli può anche consentire la ricerca di risorse all’asciutto. Il mutamento d’emergenza, per quanto drammatico, ha dunque indubbi vantaggi per la prosecuzione della specie in condizioni radicali.
Si ritiene che Axolotl discenda da anfibi terrestri simili alla più grande salamandra-tigre. Può allora apparire paradossale che un organismo mantenga aspetti più ancestrali, come quelli dei pesci, di quelli della forma da cui deriva. In altre parole, nella sequela filogenetica di pesci, salamandra-tigre e Axolotl sembra quasi che quest’ultimo abbia subito una regressione, tornando alla maggiore semplicità ittica.
Non è però così. È vero che la neotenia guarda al passato, ma è il risultato di un processo evolutivo, non un passo indietro. In sostanza, Axolotl ha in sé alcune potenzialità dei pesci che ha evolutivamente superato. Perseverando nello stadio giovanile, quelle potenzialità gli sono utili per condurre un’esistenza acquatica tranquilla. Tuttavia, un pesce mai potrebbe procacciarsi il cibo fuori dal suo ambiente natio. Axolotl lo può invece fare in caso di bisogno, proprio come lo fa di norma la salamanda-tigre da cui deriva. D’altronde, questa è costretta a maturare, conducendo poi una vita adulta anche sul suolo, fuori dall’acqua, esponendosi a certi rischi. Axolotl non segue invece questa via obbligata. Possiamo dire in un certo senso ch’esso può fare cose che né i pesci, né le salamandre-tigre possono fare.
Tutto questo non significa che Axolotl abbia in assoluto maggiori garanzie di adattamento dei pesci o delle salamandre-tigre; ogni organismo deve affrontare ambienti specifici col proprio assetto strutturale e fisiologico. Quella di Axolotl è solo una delle tante strategie di sopravvivenza messe in atto dalla vita sul pianeta, una strategia che funziona, com’è testimoniata dalla sopravvivenza fino ai giorni nostri di questa interessante specie. Bisogna insistere sul fatto che la neotenia non corrisponde affatto a un depauperamento, bensì a una sofisticata modulazione di caratteri incorporati per ereditarietà. Il passato biologico torna utile in condizioni normali, ma in certi frangenti minacciosi i caratteri genetici acquisiti nella successiva evoluzione vengono richiamati ad hoc dal sistema endocrino. Una soluzione adattiva alquanto sofisticata che sul piano evolutivo pone Axolotl dopo la salamandra-tigre e senz’altro molto dopo i pesci.
La riflessione evolutiva appena condotta stuzzica la nostra curiosità se ricordiamo che i vertebrati superiori sono dopotutto degli ex-anfibi. Viene insomma da chiedersi se anche negli uccelli o nei mammiferi, ed eventualmente nell’uomo, sussistano tratti neotenici. Come Axolotl trae vantaggio dalle potenzialità ittiche, senza protendere alla fase adulta ed evolutivamente più recente, così anche animali più complessi possono forse usufruire della conservazione nel loro assetto di stadi immaturi dello sviluppo, riflesso filogenetico dei predecessori.
Per meglio inquadrare la questione occorre dapprima ricordare che le fasi di sviluppo embrionale e larvale, nonché il raggiungimento della condizione adulta implicano passaggi e funzioni che variano da specie a specie e che sono tutt’altro che semplici o schematici. Il caso delle rane o delle salamandre è un caso di maturazione netta, ma nella biosfera la transizione è spesso più complessa. Inoltre, noi siamo abituati a considerare il raggiungimento della maturità sessuale come una tappa che si accompagna al viaggio verso l’età adulta. Infine, pensiamo di solito che lo sviluppo sia un processo uniforme nella biosfera, ovvero che avvenga in tutti gli animali e in tutte le sue parti con progressioni analoghe. Non è però questa la condizione nel regno vivente.
Alcune larve acquatiche sono molto più mobili degli adulti e sono quindi esse ad assicurare alla specie il mescolamento dei geni e l’occupazione di nuovi mbienti. In altre parole, la maturità sessuale viene raggiunta a uno stadio immaturo. Negli insetti lo stadio larvale serve invece per accumulare l’energia richiesta dalla successiva scalata verso l’età adulta, una cosa un po’ diversa. Tra i crostacei non è possibile distinguere bene tra sviluppo larvale e maturazione, perché le fasi si succedono quasi senza soluzione di continuità. Infine, le forme di vita più progredite e complesse sono prive di uno stadio larvale, sostituito da una crescita di tipo embrionale protratta anche dopo la nascita, situazione che evidentemente riguarda anche noi umani.
Lo sviluppo di ogni nuovo organismo è insomma un processo articolato, governato da geni e, subordinatamente, dal sistema endocrino secondo varie possibili strategie. Non solo le tre fasi in oggetto possono dilatarsi o restringersi da specie a specie, ma al loro interno sono riconoscibili dinamiche differenziate. Così, stabilendo dei confronti tra gli organismi, vediamo che per qualcuna che subisce un ritardo ve ne possono essere altre che sono invece anticipate. Ogni creatura segue un proprio modello di crescita multipla, calibrato dall’evoluzione. Non c’è una sola soluzione e questo è il bello della biosfera.
Tutto questo indica che se valutassimo la neotenia in relazione a qualche metamorfosi brutale, tipo quella delle rane o delle salamandre, incontreremmo notevoli difficoltà nell’accostare gli anfibi a discendenti molto più avanzati. In verità, il caso degli anfibi ci è servito qui da introduzione, giacché la neotenia si manifesta in maniera così pregnante in Axolotl da fare la differenza tra l’avvio e la soppressione della metamorfosi stessa. Negli altri casi dobbiamo affinare lo sguardo per trovare indizi significativi. L’importante a questo punto è aver afferrato il principio adattivo della neotenia. In particolare, conviene ora procedere prendendo in esame lo sviluppo comparato di specie affini.
Seguendo questa traccia, possiamo considerare, ad esempio, che è stata più volte rimarcata la somiglianza tra gli adulti dei volatili terrestri (volatili che non volano, come lo struzzo) e i piccoli di specie analoghe volanti. Similmente, i cani condividono vari tratti con i cuccioli di lupo. Le specie domestiche sembrano in generale costituire la forma neotenica di quelle selvatiche. L’elenco è abbastanza lungo, ma ci conviene saltare direttamente all’essere umano.
I commenti più scontati riguardano la carenza di peli e la testa grande in rapporto al corpo; sono fattori che ci rendono simili agli scimpanzé immaturi o anche a dei bambinoni neandertaliani, come indicano i reperti fossili. Ma c’è dell’altro. La femmina umana incontra particolari difficoltà all’atto del parto, a causa del bacino profondamente modificatosi durante la transizione verso la postura eretta. Il cranio non sviluppato e non calcificato dei neonati attenua il problema descritto. Ebbene, esso è l’effetto di un ritardo di crescita rispetto agli altri primati. Anche qui si tratta di fattori genetici ed ormonali.
L’aspetto neotenico più rilevante nell’uomo riguarda però l’encefalo. Può fare specie sapere che, paragonato ad altri animali superiori, l’uomo possiede un cervello decisamente immaturo. Si tratta tuttavia proprio di quanto concorre a renderlo così sofisticato. Il sistema neurale umano mantiene infatti per tutta la vita una notevole plasticità residua. Questo significa che le reti nervose non maturano del tutto, assumendo configurazioni circuitali rigide, ma restano suscettibili di plasmarsi con l’esperienza, come fossero una sorta di creta da modellare.
In molte altre specie la plasticità nervosa riguarda più che altro l’inizio della vita. Il celebre etologo Konrad Lorenz mostrò come gli uccelli imparassero a riconoscere i genitori entro un lasso di tempo circoscritto. In genere, lo sviluppo cerebrale degli animali ha delle finestre critiche all’interno delle quali vengono appresi precisi comportamenti, grazie al modellamento delle reti nervose. Trascorsi gli stadi plastici, i circuiti maturano, si cristallizzano e cessano di essere plasmabili. Gli schemi di elaborazione risultano veloci ed efficienti, ma da quel momento in poi anche poco modificabili.
I movimenti dei cuccioli sono tentennanti e imprecisi perché le reti motorie non sono ancora ben configurate. I neuroni, le cellule nervose, competono tra loro e risultano ancora decisamente soprannumerari. Quelli che non riescono a fare parte di qualche rete reattiva vengono eliminati. Come si diceva, la plasticità accompagna i primi passi dei piccoli di varie specie. Il gioco in un ambiente protetto dai genitori non è altro che una serie di esperienze precoci sperimentali che sono necessarie per plasmare il cervello in una configurazione ottimale che poi tornerà utile per tutta la vita. Quando infatti l’individuo matura perde il legame parentale e affronta la vita autonomamente con un assetto cerebrale consolidato dalle esperienze iniziali.
Noi umani abbiano circuiti meno fissi, reazioni lente e meno precise e istinti non altrettanto sviluppati di quelli di molti animali. È lo scotto che dobbiamo pagare all’evoluzione neotenica per disporre di risorse elaborative sempre rinnovate in funzione degli accadimenti ambientali. In un certo senso, restiamo dei cuccioli di primati che apprendono fino all’ultimo giorno, affrontando situazioni sempre nuove. Con ogni probabilità lo dobbiamo un po’ ad alcune trisavole immature, le salamandre come Axolotl che hanno giocato con gli ormoni per diventare delle specie di Peter Pan ben adattati all’ambiente.
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