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ORIGINI
Il termine, mutuato dall’etologia, venne utilizzato da Konrad Lorenz (1969) per indicare un comportamento aggressivo osservato negli uccelli i quali, difendendo il proprio territorio, attaccano e allontanano un loro simile.
Il termine viene ripreso negli anni ottanta da Leymann (Leymann, Gustavsson, 1984) il quale ne estende il significato utilizzandolo per indicare un disturbo osservato in alcuni lavoratori svedesi sottoposti ad una serie di traumi psicologici sul luogo di lavoro.
DEFINIZIONI
Secondo la Consensus Conference il mobbing si inquadra come “…una forma di molestia o violenza psicologica esercitata quasi sempre con intenzionalità lesiva, ripetuta in modo iterativo, con modalità polimorfe; l’azione persecutoria è intrapresa per un periodo per un periodo determinato …in almeno sei mesi … ma con ampia variabilità dipendente dalle modalità di attuazione e dai tratti della personalità dei soggetti, con la finalità o la conseguenza dell’estromissione del soggetto da quel posto di lavoro”.
Il mobbing rappresenta una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone (mobbizzati) vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità (mobbers), con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo ed gravità. Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche a invalidità psicofisica permanente (Ege, 2002)
CAUSE
Alla base dell’esordio del mobbing esiste la presenza di un conflitto di lavoro proiettato verso la sfera relazionale; Le azioni che segnalano il mobbing sono le più diverse e sono spesso così sottili che la vittima stenta a riconoscerle; si tratta di cose cui inizialmente non si da peso ma che vanno degenerando fino a causare l’isolamento del mobbizzato, perpetrato attivamente dai colleghi e in conflitti frequenti e sempre più forti con il gruppo di lavoro.
Leymann (1993) adottando la dimensione del conflitto, individua sei possibili cause che possono concorrere allo scatenamento sul posto di lavoro di un conflitto:
FATTORI ESTERNI
– l’organizzazione del lavoro
– le mansioni lavorative
– la direzione del lavoro
FATTORI INTERNI
– la dinamica sociale del gruppo di lavoro
– la personalità
– gli errori causati dall’inopportuno additamento delle vittime come persone caratterialmente predisposte a giocare questo ruolo.
FASI EVOLUTIVE
1. Critical incidents (incidenti critici): il mobbing può essere visto come un conflitto in ascesa e la situazione di partenza è spesso un conflitto quotidiano che non è stato risolto;
2. Mobbing and stigmatizing (mobbing e stigmatizzazione): si intensificano le attività di mobbing prima solo allo stato embrionale;
3. Personnel management (mobbing e managment): l’amministrazione viene a conoscenza della situazione conflittuale e quindi il caso diventa ufficiale;
4. Abbandono del posto di lavoro: ciò accade perché le conseguenze di un processo di mobbing si traducono per il soggetto lavoratore in sindromi post-traumatiche da stress con alterazioni croniche del suo equilibrio.
Harald Ege ha elaborato inoltre un modello particolare che si compone di 6 fasi precedute da una pre-fase detta “condizione zero” che ancora non è mobbing, ma ne costituisce l’indispensabile presupposto:
CONDIZIONE ZERO: è il conflitto fisiologico normale ed accettato; è un conflitto generalizzato che vede tutti contro tutti e non ha una vittima cristallizzata. Non è del tutto latente ma si fa notare con banali diverbi di opinione, discussioni, piccole accuse o ripicche; l’interesse fondamentale in questa condizione non è distruggere ma soltanto elevarsi sugli altri.
– I fase. CONFLITTO MIRATO
– II fase. INIZIO DEL MOBBING
– III fase. PRIMI SINTOMI PSICOSOMATICI
– IV fase. ERRORI ED ABUSI DELL’ AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE
– V fase. SERIO AGGRAVAMENTO DELLA SALUTE PSICOFISICA
– VI fase. ESCLUSIONE DAL MONDO DEL LAVORO
I PROTAGONISTI
I protagonisti del mobbing sono:
1) MOBBIZZATO: il tratto tipico del mobbizzato è l’isolamento: la persona si trova con le spalle al muro senza sapere il perché. Le principali vittime sono:
I Diversi: disomogenei rispetto al gruppo per motivi politici, religiosi, razziali, di lingua e di sesso;
I Disabili: in quanto tali;
I Creativi: positivi, innovatori, anticonformisti rispetto al gruppo;
Coloro che hanno successo: la cui maggior professionalità ed attivismo emergono rispetto alla media del gruppo;
I Neoassunti: estranei al gruppo precostituito;
Gli Onesti: che non accettano comportamenti scorretti e disonesti;
Gli Anziani: in senso lavorativo, perché costano di più all’azienda;
Gli Esuberi: perché superflui ai fini aziendali.
2) MOBBER: non mostra sensi di colpa e tende a colpevolizzare gli altri. Preferisce i comportamenti aggressivi, aiuta a proseguire, a creare e a provocare i conflitti e il loro intensificarsi.
3) COMOBBER: i complici del mobber. Il mobber non agisce mai da solo ma si avvale del supporto di un gruppo (spesso inconsapevole) che manipola e plagia egli stesso per raggiungere il suo scopo.
TIPOLOGIE
Ci sono 2 tipi di mobbing:
1) mobbing “strategico”: È una forma di terrore psicologico che viene esercitato sul posto di lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte di colleghi o dei datori di lavoro per eliminare una persona che è o è diventata scomoda, distruggendola psicologicamente e socialmente in modo da provocarne il licenziamento o da indurla alle dimissioni senza che ci sia un caso sindacale. Esistono vere e proprie strategie aziendali aggressive atte a eliminare personaggi scomodi.
2) Mobbing “emozionale”: consiste nell’esasperazione di sentimenti come l’invidia o la rabbia allo scopo di logorare psicologicamente una persona (ciò si verifica prevalentemente fra colleghi di lavoro). Altre manifestazioni del fenomeno possono essere la semplice emarginazione, la diffusione di maldicenze, le continue critiche, la sistematica persecuzione, l’assegnazione di compiti dequalificanti, la compromissione dell’immagine sociale nei confronti dei clienti e superiori e nei casi più gravi si può arrivare anche al sabotaggio del lavoro ed azioni illegali.
Esiste inoltre una sua precisa direzionalità definita come:
mobbing orizzontale se i mobber sono colleghi di pari livello della vittima;
mobbing verticale se i mobber sono dei superiori;
mobbing discendente operato dal/dai superiore/i verso i lavoratori che si trovano ad un livello gerarchico inferiore;
mobbing ascendente praticato da un individuo o gruppo nei confronti del capo.
ASPETTI FENOMENOLOGICI
Il mobbing si concretizza attraverso molteplici tipologie di condotte, tra le quali, a titolo meramente esemplificativo, si collocano, come anche messo in luce dagli esperti in psicologia sul lavoro, le seguenti: l’emarginazione e l’isolamento del soggetto attraverso l’ostilità e la non comunicazione; le continue critiche sul suo operato; l’applicazione di sanzioni disciplinari pretestuose; la diffusione di maldicenze all’interno e all’esterno dell’azienda; l’assegnazione di compiti dequalificanti e umilianti oppure, all’opposto, troppo difficili da raggiungere, specie se dolosamente non supportati da adeguati strumenti; il demansionamento; la lesione dell’immagine e/o della reputazione del soggetto davanti ai colleghi, clienti, superiori; gli spostamenti continui da un ufficio ad un altro; le contestazioni prive di fondamento e non seguite da giustificazioni, malgrado le richieste dell’interessato; l’abuso di controlli medici fiscali in caso di malattia; l’addebito di assenze sul lavoro apparentemente non giustificate, ma premeditatamente costruite ad hoc dall’azienda; offese ed umiliazioni di vario genere del lavoratore; pressioni psicologiche di ogni sorta e genere; molestie e violenze sessuali (soprattutto nel caso di vittime donna); discriminazioni; riduzione e degradazione della posizione di lavoro; ecc.
ASPETTI DIAGNOSTICI E PSICODIAGNOSTICI
Si parla di mobbing quando una persona è vittima sul luogo di lavoro, per almeno una volta la settimana e nell’ arco di sei mesi (come sostiene Leymann 1996), di isolamento sociale, di attacchi alla vita privata, professionale e all’identità tramite violenza verbale o fisica.
Inoltre presenza di pettegolezzi più o meno fondati tesi a mettere in cattiva luce, di improvvisi mancati inviti al bar o in mensa, di allusioni inizialmente senza importanza e di piccoli conflitti con i colleghi, l’assegnazione di mansioni dequalificanti o di incarichi eccessivamente onerosi, di trasferimenti, di esclusioni dalle riunioni aziendali e di continue critiche e ammonimenti ostinati; nei casi più gravi si può arrivare persino al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali
Secondo il DSM-IV, la “sindrome da mobbing” è stata inserita nell’ambito del: Disturbo di adattamento; Disturbo acuto da stress; Disturbo post-traumatico da stress.
STRUMENTI PER MISURARLO
– Attraverso il test di E. Schuler (2000) è possibile misurare atteggiamenti di: Manipolazione, Aggressività, Fuga e Assertività.
– WHS ( Work Harassment Scale) – K.Bjorkvist, K.Osterman e M.Hjelt-Back (1994)
– MMPI-2 (Minnesota Multiphasic Personality Inventory-2)
– Questionario da richiedere a http://www.osservatoriomobbing.org/index.html
CENNO AL QUADRO GIURIDICO
I danni causati da una situazione di mobbing sono generalmente intesi come riduzione della capacità lavorativa della persona mobbizzata poiché le difficoltà sociali da lei vissute, provocano innanzitutto il suo immiserimento professionale, con conseguenze negative su tutto il suo avvenire lavorativo.
Come tale il danno da mobbing può essere di diversa natura:
-Danno Patrimoniale
-Danno Esistenziale
-Danno psico-biologico
La giurisprudenza è concorde sul risarcimento del danno biologico derivante da mobbing, se causalmente dimostrato. In tali casi il procedimento è simile a quello di una causa di risarcimento di danno biologico
IPOTESI D’INTERVENTO
Mezzi di tutela individuale e collettiva es.: norme poste contro trattamenti discriminatori che neghino o alterino l’uguaglianza di possibilità o di trattamento; norme che regolano il potere disciplinare del datore di lavoro; numerose disposizioni dello statuto dei diritti dei lavoratori; la legge n. 626 del 1994; le norme del codice penale che puniscono ingiurie e diffamazione; i delitti contro le libertà morali.
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