Latte, Grassi animali e dubbi russi.
di Gian Luca Mazzella – Il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2013
I camici bianchi partono da un fatto: la nota Harvard Medical School ha eliminato il latte dall’elenco dei prodotti salutari. Le mucche, per esempio, producono latte per 300 giorni all’anno, e per questo scopo vengono nutrite con mangimi speciali, mentre una mucca naturalmente darebbe latte per non più di 180 giorni all’anno
Mentre in Italia il latte è argomento di campagna elettorale, dato che le quote latte – secondo una recente relazione della Corte dei Conti – sono costate allo Stato 4,5 miliardi di euro, in Russia si raccomanda di evitare il consumo quotidiano di latte bovino. Accade in un programma del primo canale della tv russa: un gruppo di medici, dopo aver esitato per due anni, tratta il tema del consumo quotidiano di latte. Un tema contraddittorio e spinoso, argomento di ricerche e studi discordanti, o di patenti luoghi comuni. Certo è che il consumo quotidiano di latte bovino è un fenomeno degli ultimi ottant’anni, e fino al XX secolo nelle lingue europee non si trovava nemmeno la locuzione “bere latte”: prima di allora il latte si “mangiava”, specie sottoforma di latticini. Tutt’oggi ci sono popolazioni che non assumono latte dopo lo svezzamento.
I medici russi partono da un fatto: la nota Harvard Medical School ha eliminato il latte dall’elenco dei prodotti salutari. Difatti, pur se negli ultimi decenni il latte è stato stimato fondamentale per il benessere e la salute di adulti e bambini, la ricerca – in alcuni casi – ha mostrato evidenze scientifiche differenti. I medici russi ne hanno illustrate alcune: 1) Metà delle calorie nel latte provengono da grassi, fra questi il il 10% è colesterolo. Nonostante la mucca conduca una vita salutare mangiando erba, noi consumiamo grassi animali che portano allo sviluppo delle placche arteriosclerotiche. Cioè l’arteriosclerosi delle arterie del cuore, del cervello, degli arti inferiori. Ciò può portare all’infarto, all’ictus, alla perdita degli arti. E, come possibile conseguenza, alla morte. Tutto ciò è possibile se l’uomo consuma grandi quantità di latte. Meglio il latte con 0% di grassi. 2) La produzione moderna del latte avviene in luoghi simili a “fabbriche”, gli allevamenti intensivi che danno latte industriale. Le mucche producono latte per 300 giorni all’anno, e per questo scopo vengono nutrite con mangimi speciali, mentre una mucca naturalmente darebbe latte per non più di 180 giorni all’anno. Alcune ricerche hanno mostrato che il latte delle mucche da allevamento intensivo contiene un ormone, l’estrone solfato, in maniera 33 volte superiore a quello delle mucche che producono latte per non più di 180 giorni. L’estrone solfato pare la causa della maggior parte dei tumori alla prostata e ai testicoli. Il latte da allevamento intensivo sembra dunque legato a questo tipo di tumori. 3) Il latte è uno degli allergeni più importanti. Un quarto della popolazione mondiale non tollera il latte. Le proteine del latte possono provocare allergia. 4) Il latte si può sostituire con altri alimenti da cui trarre proteine, vitamine liposolubili e calcio. Per le proteine, e l’abitudine al gusto, si può assumere latte di cocco o di riso, dunque proteine vegetali. Per il calcio, si può mangiare ad esempio cavolo e fave, che garantiscono il fabbisogno quotidiano. Per la vitamina D, basta assumere grasso di pesce (2 grammi al giorno, in più si hanno anche omega 3, anche sottoforma di integratori.
Insomma i medici russi, sul primo canale tv, si sono dichiarati contro il consumo di latte industriale. Un fatto rilevante, che ha spinto alcuni a scervellarsi sui motivi più occulti di una tale azione. Eppure, anche in Italia, come riportato in questo breve video c’è chi da anni ai adopera per demolire i luoghi comuni e raccomandare una dieta anticancro. Peraltro nel nostro paese, la vitamina D si può trarre facilmente dai raggi del sole, bastano 15-20 minuti per 2-3 volte a settimana. E anzi come scrive l’oncologo Franco Berrino: “i tanto reclamizzati latticini sono certo ricchi di calcio, ma sono anche un concentrato di proteine animali. Non esiste un solo studio che abbia documentato che una dieta ricca di latticini in menopausa sia utile ad aumentare la densità ossea e a prevenire le fratture osteoporotiche. Alcuni studi hanno addirittura riscontrato che la frequenza di fratture in menopausa è tanto maggiore quanto è maggiore il consumo di carne e di latticini. Naturalmente rimane logico garantire un sufficiente apporto alimentare di calcio, purché non provenga solo dai latticini. Ne sono ricchissimi vari semi, soprattutto il sesamo e le mandorle, i cavoli, soprattutto i broccoli, i prodotti del mare, soprattutto le alghe, ma anche il pesce (soprattutto i pesci piccoli e le zuppe di pesce dove si mangiano anche le lische), il pane integrale a lievitazione naturale, i legumi”.
Del resto, se pure alcuni latticini (quale il burro), conterrebbero una quantità rispettabile di omega-3 (essenziali per l’alimentazione umana), lo spostamento dell’alimentazione degli animali dalle piante a foglia verde ai cereali nei mangimi, ossia dal pascolo all’allevamento intensivo, ha ridotto il contenuto di omega-3 (ma anche di vitamine come la A e la D) nei latticini. Quindi nel nostro organismo. Gli allevamenti intensivi accentuerebbero lo squilibrio omega- 3/omega-6 a favore di questi ultimi. Gli omega-6 stimolano la fabbricazione di cellule adipose fin dalla nascita e favoriscono l’accumulo di grassi, la coagulazione e la risposta infiammatoria delle cellule alle aggressione esterne. Inoltre agli animali d’allevamento intensivo non vengono risparmiati antibiotici, al fine di prevenire le malattie ma anche per farli crescere più velocemente. E ciò aumenta la resistenza batterica agli antibiotici negli animali stessi, e plausibilmente anche in chi se ne nutre. Del resto l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi è enorme: sono nocivi per l’atmosfera più dell’anidride carbonica, contribuendo al riscaldamento globale più di tutti i trasporti nel loro insieme; sono nocivi per le risorse idriche del pianeta, e sono nocivi perché contribuiscono alla deforestazione occupando quasi un terzo delle terre emerse”.
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