Flessibilità del mercato del lavoro.
La favola del protezionismo. Ridurre le protezioni dei lavoratori italiani non serve a rilanciare la crescita. Perché è dimostrato che la flessibilità del mercato del lavoro non accresce l’occupazione; perché il mercato del lavoro italiano non è certo più rigido della media europea; perché non è vero che i nostri lavoratori a tempo indeterminato sono più protetti di quelli tedeschi o francesi. Ridurre i diritti dei lavoratori può solo allargare la precarietà e portare a ulteriori riduzioni salariali; certo non serve a rimettere in moto l’economia. La Repubblica.it, 25 ottobre 2014 (“Contratti e protezione dei lavoratori: Italia meno rigida della Germania”, di Raffaele Ricciardi) L’analisi di Realfonzo: secondo i dati Ocse i contratti a tempo indeterminato italiani proteggono i lavoratori meno di quanto accada in Germania o Francia. Anche guardando alla sola voce del reintegro, centrale nella disputa sull’articolo 18, il mercato tedesco è più rigido. MILANO – E’ vero che i lavoratori italiani sono superprotetti? Per alcuni economisti no, anzi il sistema italiano è molto meno rigido di quelli additati come modelli da seguire, a cominciare dalla Germania. Tanto che si può parlare di “favola della superprotezione”. Uno dei sostenitori della tesi è Riccardo Realfonzo, dell’Università del Sannio, che ne ha scritto di recente sulla rivista economiaepolitica.it. Utilizzando i dati Ocse, che mettono a confronto i Paesi dell’area, si può ricostruire il grado di protezione dei lavoratori attraverso l’Employment Protection Legislation Index (Epl), a sua volta suddivisibile nell’indice che riguarda i contratti a tempo indeterminato (Eprc) e quelli a termine (Ept).L’Organizzazione parigina misura una sensibile riduzione dell’Epl nel corso dell’ultimo quarto di secolo e Realfonzo sottolinea che l’Italia è tra i paesi che hanno attivato maggiormente la leva della flessibilità, riducendo le tutele di oltre il 40%, dal valore 3,82 del 1990 al 2,26 del 2013. Manca, in questa riduzione, l’impatto del decreto Poletti che verrà incluso dal prossimo anno, quando determinerà verosimilmente una nuova flessione dell’indice. Ma il dettaglio più interessante è la fotografia dei contratti a tempo indeterminato, che sarebbero appunto i “superprotetti” armati dell’articolo 18, con la tutela del reintegro in caso di licenziamenti illegittimi. La relativa graduatoria dell’Ocse sembra però smentire la tesi di un mercato estremamente ingessato in Italia, che come si vede si pone alle spalle di Paesi quali Germania e Francia. L’analisi dell’economista si fa più stringente quando si scompone l’indicatore di protezione dei lavoratori assunti a tempo indeterminato nelle sue voci. Le componenti dell’indice di protezione(fonte Ocse) Limitando lo sguardo al reintegro, quello disciplinato proprio dall’articolo 18, emerge un livello inferiore di protezione rispetto alla Germania. Nel complesso, le voci della “difficoltà di licenziare” sono comunque maggiori rispetto all’economia tedesca, ma inferiori di quella francese. “Questi dati non devono stupire”, dice Realfonzo “anche perché colgono l’evoluzione della normativa italiana e il pesante depotenziamento del principio del reintegro nel nostro Paese, cui abbiamo recentemente assistito. Il riferimento è naturalmente alla cosiddetta ‘riforma Fornerò del 2012. Il database Ocse registra infatti che, a seguito di quella riforma, l’indicatore del grado di protezione relativo al reintegro è passato dal valore 6 degli anni precedenti (il più alto della scala) al valore 2 del 2013, scendendo al di sotto del dato tedesco”. Da qui l’idea di una “favola dei superprotetti”.Per l’economista, questa analisi s’intreccia con le scelte che il governo ha fatto anche in sede di definizione della Legge di Stabilità. “Non è dimostrabile che il taglio dell’Irap, la decontribuzione delle nuove assunzioni, da associare alla maggiore flessibilità in uscita, siano da stimolo agli investimenti privati”. Per Realfonzo, che condivide una netta posizione neokeynesiana, “sono manovre finanziate con il taglio della spesa pubblica: si rinuncia a un certo volano di sviluppo (la spesa) per qualcosa di incerto. Quello che servirebbe è investimento pubblico, considerando che dal 2007 l’ammontare di questa voce si è ridotto del 30%”.Anche la previsione che la decontribuzione triennale dei nuovi tempi indeterminati possa generare 800mila assunzioni, per Realfonzo “è infondata”. L’obiezione alla richiesta dell’economista di aumentare la spesa pubblica è ovvia: l’Europa non lo permetterebbe, visto che già chiede correttivi per limare maggiormente il deficit strutturale rispetto alle previsioni della Stabilità. “In realtà si dovrebbe avere più coraggio, infrangere anche la soglia del 3% del deficit/Pil e azzerare l’avanzo primario perché allo stato c’è solo un’attenuazione dell’austerità, ma non un cambio di passo”. – See more at: http://www.economiaepolitica.it/lavoro-e-sindacato/25-ottobre-la-battaglia-per-i-diritti-continua/#sthash.SBSPLC3x.dpuf
by