L’Argentina ha finito di pagare il suo debito.
A poco più di dieci anni dal default, un crack del valore di oltre 100 miliardi di dollari, Buenos Aires ha onorato l’impegno preso con i detentori delle obbligazioni che in seguito a quella crisi si trasformarono in carta straccia. Con il Corralito, il nome con cui vennero etichettate le misure economiche adottate dal ministro dell’Economia Domingo Cavallo a fine 2001 per tamponare gli effetti della crisi, si cercò di porre un freno alla corsa agli sportelli congelando i conti bancari e proibendo il prelievo dai conti in dollari americani.
I risparmiatori si trovarono allora di fronte a due scelte: convertire i depositi in pesos – una valuta dal valore crollato – per accedere a quanto era rimasto dei risparmi, oppure accettare in cambio il titolo Boden 2012 in valuta Usa, un pezzo di carta che conteneva la promessa che il governo avrebbe ripagato l’ammontare in dollari nel corso dei 10 anni successivi. Il Corralito venerdì è stato definitivamente sepolto dal pagamento dell’ultima tranche del debito.
“Non è un giorno qualsiasi nella storia del calendario delle scadenze del debito pubblico”, ha detto il giorno prima il ministro dell’economia Hernan Lorenzino, ricordando che quel nome “è stato il simbolo della peggior crisi economica e sociale della quale abbiamo memoria”. Durante le celebrazioni, giovedì, del 158esimo anniversario della Borsa di Buenos Aires, anche la “presidenta” Cristina Fernandez ha voluto celebrare questa pietra tombale messa sul debito argentino: “Non ho avuto nulla a che vedere con tale passo (le misure economiche del 2001-2002, ndr), ma con il pagamento dell’ultima quota del Boden saremo più liberi”, ha affermato.
Ma se non fu l’attuale capo di Stato a decidere l’istituzione di quei titoli, sono stati lei e il defunto marito e predecessore, Nestor Kirchner, a promuovere e portare avanti la politica di ‘sdebitamento’ che ha portato l’Argentina a onorare il suo debito con i risparmiatori attraverso la ristrutturazione, con tagli del 70% del debito estero (accettata dal 96% dei possessori di bond) e l’estinzione, con le riserve nazionali, dei circa 10 miliardi di dollari dovuti all’Fmi.
Una politica che ha tirato fuori l’Argentina dalla palude dell’indebitamento facendola diventare una potenza economica in costante crescita. Il pagamento del debito, ha affermato Cristina, “ci ha assicurato una indipendenza immensa dall’attività dei mercati”. Un’esperienza che dovrebbe insegnare qualcosa ai Paesi che oggi in Europa,vivono una crisi che ricorda molto da vicino quella che portò al default di Buenos Aires. Lo ha sottolineato la stessa “presidenta”, che ha messo in guardia il Vecchio Continente: “C’è una incredibile crisi speculativa (nel mondo, ndr) come poche volte si è vista, causata da una crisi che noi conosciamo bene”.
Un fatto che “non conosce precedenti, sono fuggiti dalla Spagna capitali per 200 miliardi di dollari, Francia e Germania nella terza settimana del mese hanno collocato il debito allo 0,007 a tre mesi e dopo, la settimana successiva, lo hanno portato allo 0,003 per cento (…) questo per pagare la gente, per fargli tenere i soldi nelle banche”, ha sottolineato Cristina, puntando il dito contro i colossi finanziari responsabili della crisi, quella che 11 anni fa colpì l’Argentina e quella che oggi attanaglia l’Europa. Da Buenos Aires arriva un segnale, un avvertimento all’Europa. Ma soprattutto viene un insegnamento: il modello argentino ha avuto successo, e in un contesto di crescita economica e di rafforzamento delle reti di protezione sociale, senza l’imposizione delle misure di austerity che oggi stanno invece mettendo in ginocchio i popoli europei.
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