Comunicazione, Potere e Contropotere
nella network society
Il presente articolo formula una serie di fondate ipotesi sull’interazione tra comunicazione e rapporti di potere nel contesto tecnologico che caratterizza la network society, o “società in rete”. Partendo da un corpus selezionato di studi sulla comunicazione e da una serie di case study ed esempi, si giunge alla conclusione che i media siano divenuti lo spazio sociale ove il potere viene deliberato. Mostrando il legame diretto tra politica, politica dei media, politica dello scandalo e crisi della legittimità politica in una prospettiva globale. E avanzando l’idea che lo sviluppo di reti di comunicazione interattiva orizzontale ha favorito l’affermazione di una nuova forma di comunicazione, la mass self-communication (comunicazione individuale di massa), attraverso Internet e le reti di comunicazione wireless. In un tale contesto, politiche insurrezionali e movimenti sociali sono in grado di intervenire con maggiore efficacia nel nuovo spazio di comunicazione. Sul quale, però, hanno investito anche i media ufficiali o corporate media e la politica mainstream. Tutto ciò si è tradotto nella convergenza tra mass media e reti di comunicazione orizzontale. E, più in generale, in uno storico spostamento della sfera pubblica dall’universo istituzionale al nuovo spazio di comunicazione.
INTRODUZIONE
La costruzione del potere come influsso esercitato sulle menti
Comunicazione e informazione sono da sempre fondamentali fonti di potere e contropotere, di dominio e cambiamento sociale. Ciò in ragione del fatto che la principale battaglia che si gioca nella società è quella per le menti degli individui. Il mondo di pensare di questi ultimi determina la sorte di leggi e valori su cui le società si fondano. Sebbene paura e coercizione siano risorse cruciali nell’imposizione della volontà del dominatore sui dominati, pochi sistemi istituzionali possono durare a lungo se basati quasi esclusivamente sulla semplice repressione. Le torture inflitte ai corpi rappresentano una pratica meno efficace dell’influsso esercitato sulle menti. Se il modo di pensare della maggior parte dei cittadini contraddice valori e norme istituzionalizzati nello Stato e sanciti da leggi e ordinamenti, il sistema è inevitabilmente destinato a cambiare, ma non necessariamente per realizzare le speranze degli attori del cambiamento sociale. Cambiamento che, però, si verificherà comunque. Ci vuole soltanto un po’ di tempo e molta, molta sofferenza. Poiché è la comunicazione – e segnatamente la comunicazione socializzata, ossia quella che investe l’universo pubblico – a fare da base alla produzione sociale del significato, la battaglia per le menti degli individui si gioca soprattutto nei processi di comunicazione. Ciò è ancora più vero nel caso della network society, che è caratterizzata dalla diffusione delle reti di comunicazione in un ipertesto multimodale. In realtà, la continua trasformazione della communication technology nell’era digitale estende l’influenza dei mezzi di comunicazione a tutti gli ambiti della vita sociale, in un network che è al contempo global e local, generico e personalizzato, secondo un modello in continua evoluzione. Di conseguenza, i rapporti di potere – ossia le relazioni che servono da fondamento a tutte le società – e i processi che sfidano i rapporti di potere istituzionalizzati sono sempre più plasmati e determinati dalla sfera della comunicazione.
Per “potere” si intende qui la capacità strutturale, da parte di un attore sociale, di imporre la propria volontà su di un altro (o più d’uno) attore sociale. Tutti i sistemi istituzionali riflettono rapporti di potere, ma anche i loro limiti,
1 Si ringraziano, per l’importante contributo alle ricerche e all’elaborazione dei dati illustrati nel presente articolo, Amelia Arsenault e Sasha Costanza-Chock, dottorande alla Annenberg School of Communication della University of Southern California. Le ipotesi avanzate in questo saggio erano state precedentemente illustrate, in altra versione, alla Opening Lecture del meeting annuale della International Communication Association, tenutosi a Dresda il 18 giugno 2006. L’autore ringrazia inoltre il comitato direttivo della Ica, e in particolare i professori Ronald Rice e Ingrid Volkmer per il gradito invito a prendere parte alla conferenza.
negoziati attraverso un processo storico di domino e contro-dominio. Pertanto, la presente analisi comprenderà anche il processo di formazione del contropotere, che qui si intende come la capacità, da parte di un attore sociale, di resistere e sfidare i rapporti di potere istituzionalizzati. In realtà, tali rapporti sono per loro natura conflittuali, essendo le società eterogenee e contraddittorie. Il rapporto tra tecnologia, comunicazione e potere riflette, dunque, valori e interessi contrastanti, e innesca un conflitto tra una pluralità di attori sociali.
Sia le autorità, sia i soggetti dei piani di contropotere operano, oggi, in una nuova cornice tecnologica, ciò che ha ripercussioni su modalità, significati e obiettivi delle loro pratica conflittuale. Nel presente articolo saranno esposte alcune ipotesi sulla trasformazione di tale rapporto in quanto esito di una serie di trend connessi tra loro eppure indipendenti:
Ruolo predominante della politica dei media e sua interazione con la crisi di legittimità politica in quasi tutti i Paesi;
Ruolo-chiave dei mass media segmentati e personalizzati nella produzione culturale;
Affermazione di un nuovo modello di comunicazione legato a cultura e tecnologia della network society, e basato su reti di comunicazione orizzontale (ossia la mass self-communication);
Ricorso sia alla mass communication unidirezionale, sia alla mass self-communication nel rapporto tra potere
e contropotere, nella politica ufficiale e insurrezionale e nelle più recenti manifestazioni di movimento sociale.
L’analisi di tale trasformazione a metà strada tra comunicazione e potere va collocata in un contesto sociale caratterizzato da una serie di trend dominanti:
- a) Nei vari Paesi del mondo, lo Stato, tradizionalmente il principale luogo di potere, deve fare i conti con una sfida lanciata da:
Globalizzazione, la quale ne limita la sovranità nei processi decisionali;
Pressioni del mercato in direzione di una deregolamentazione che ne riduce la capacità di intervento; Crisi della legittimità politica, la quale ne indebolisce l’influenza sui cittadini2;
- L’industria culturale e i business media sono caratterizzati al contempo da una concentrazione delle attività e dalla segmentazione del mercato, che spingono verso una concorrenza sempre più oligopolistica, il lancio di messaggi sempre più mirati e il networking verticale dell’industria multimediale3;
- Nei vari Paesi del mondo, è la contrapposizione tra comunitarismo e individualismo a definire la cultura delle società, dal momento che la costruzione delle identità si avvale al contempo di elementi ereditati dalla storia e geografia e dei progetti dell’uomo in quanto La cultura del comunitarismo vede le proprie radici nella religione, nazione, territorialità, eticità, genere e ambiente.4 La cultura dell’individualismo, invece, si esprime in forme diverse5:
Consumismo dovuto alle pressioni del mercato;
Nuovo modello di socializzazione basato sull’individualismo networked, in rete; Aspirazione all’autonomia individuale basata su progetti di vita auto-determinati.
Malgrado un’evoluzione sociale tanto complessa e multidimensionale, il processo decisivo nella formazione della società, sia a livello individuale che collettivo, corrisponde alle dinamiche dei rapporti di potere. Che, nell’attuale contesto sociale e tecnologico, sono in larga misura legati al processo di comunicazione socializzata secondo i meccanismi di seguito illustrati.
Comunicazione di massa e politica dei media
La politica si basa sulla comunicazione socializzata, e sulla capacità di influenzare le menti degli individui. Il principale canale di comunicazione tra il sistema politico e i cittadini è costituito dall’apparato dei mass media, in primis
2 (Beck, 2006; Castells, 2005 e Held & McGrew, 2007).
3 (Crouteau & Hoynes, 2006; Hesmondhalgh, 2007 e Klinenberg, 2007).
4 (Castells, 2004 e Ong, 2006).
5 (Barber, in corso di stampa; Touraine, 2006 e Wellman & Haythornwaite, 2002).
la televisione. Fino a non troppo tempo fa (ma in larga misura tuttora), i media rappresentavano un sistema articolato entro cui, in genere, la carta stampata produceva informazioni originali, la televisione le diffondeva a un’audience di massa, e la radio personalizzava l’interazione.6 Nelle nostre società, la politica è in primo luogo una media politics, una politica dei media. I meccanismi del sistema politico si sono adattati ai media, al fine di ottenere più sostegno, o almeno la minore ostilità possibile, da parte dei cittadini, assurti a consumatori nel mercato politico. 7
Ciò non significa, naturalmente, che il potere sia in mano ai media. Gli attori politici, difatti, esercitano un notevole influsso su questi ultimi.8 Di più: oggi, con un flusso di informazioni attivo 24 ore su 24, i politici sono ancora più importanti per i media, avendo questi ultimi inevitabile e continua necessità di argomenti di cui parlare.
Né l’audience è semplice spettatrice dei media. Il concetto di “audience attiva” si è oramai affermato negli studi di comunicazione. E i media si avvalgono di un proprio sistema di controllo interno in termini di capacità di influenzare l’audience, rispecchiando quest’ultima principalmente un business, da cui il compito di attirare a sé un pubblico quanto più ampio possibile; sono generalmente pluralistici e concorrenziali; devono mantenere la propria credibilità dinanzi ai competitor; ma hanno più d’un limite intrinseco alla gestione delle informazioni, legato alla professionalità dei giornalisti.9 Occorre ricordare, d’altro canto, l’attuale successo, in tutti i Paesi, del giornalismo ideologico e militante (che spesso, come nel caso di “Fox news” in America o di “El Mundo” in Spagna, dà vita a eccellenti modelli di business), così come la sempre minore autonomia dei giornalisti rispetto ai propri editori, nonché gli intrecci tra governi e gruppi mediatici.10
La pratica di quella che Bennett (1990) definisce “indexing”, per cui direttori e giornalisti limitano il range di posizioni e temi politici da riferire a quelli espressi in seno all’establishment politico mainstream, influisce pesantemente sul processo di reporting dettato dagli eventi.
L’aspetto più importante, però, non è l’influsso esercitato sulle menti degli individui attraverso espliciti messaggi dei media, bensì l’assenza di contenuti certi in questi ultimi. Quel che è assente dai media lo è anche nell’opinione pubblica, pur potendo essere frammentariamente presente a livello individuale.11 Il messaggio politico, dunque, è necessariamente un messaggio mediatico. E ogni qual volta un messaggio di rilevanza politica viene trasmesso attraverso i media, deve esprimersi nel loro particolare linguaggio. Che molto spesso è quello televisivo.12
6 (Bennett, 1990)
7 Mazzoleni definisce la crescente centralità dei media nella politica italiana come una “Rivoluzione copernicana” nella comunicazione politica: “Se ieri tutto ruotava attorno ai partiti, oggi tutto ruota attorno e dentro i media (1995, p.
308)”. Si rimanda anche a (2002) e Graber (2007).
8 Nella sua ormai classica analisi dell’opinione pubblica verso la Guerra del Vietnam, Hallin (1986) sostiene che la stragrande maggioranza dei media americani fosse ampiamente acritica verso lo sforzo bellico sino all’indomani dell’offensiva del Tet, nel 1968, e che tale svolta fosse “intimamente connessa alla unità e chiarezza del governo stesso, come pure al grado di consenso nella società in generale” (p. 213). Con lo stesso spirito, Mermin (1997) demistifica l’idea che i media abbiano svolto un proprio ruolo nella scelta Usa di intervenire in Somalia, mostrando che mentre i giornalisti scelsero infine di coprire la crisi, in sostanza la copertura mediatica sulle reti tv seguì – invece di precedere – l’attenzione prestata a tale questione dai più importanti funzionari di Washington (p. 392). Si rimanda anche a Entman (2003), che dimostra la teoria dell’“attivazione a cascata”, per cui i sistemi mediatici mettono in moto le decisioni politiche delle élite e viceversa.
9 Hallin e Mancini (2004) prevedono un modello di sistemi mediatici basato sullo studio di 18 Paesi.
10 Tumber e Webster (2006) studiano le tensioni tra nazionalismo, giornalismo, globalizzazione e conflitti, rilevando come gli Stati-nazione possano o meno controllare le nuove dinamiche di potere.
11 Ciò è in linea con l’analisi che fa Thompson (2005) delle visibilità mediata.
12 Il Pew Research Center (2006a) documenta come la televisione continui a essere la principale fonte di informazione in America. In realtà, l’aumento della percentuale di chi per informarsi ricorre a Internet vede, sin dal 2000, un netto rallentamento. Secondo il sondaggio 2006, il 57 per cento dei cittadini ha utilizzato, per ottenere informazioni, la tv “ieri” (a fronte del 56 per cento del 2000 e del 60 per cento del 2004), rispetto al 23 per cento che si è servito di Internet (il 24 per cento nel 2004). Non solo, inoltre, i cittadini tendono a usare più spesso la televisione per avere notizie e informarsi, ma vi dedicano una percentuale maggiore del proprio tempo. Solo il 9 per cento di quanti cercano informazioni su Internet, infatti, dedica mezz’ora o più allo scopo (Pew Research Center, 2006a, p. 2). I modelli di consumo delle news cambiano, naturalmente, a seconda dell’età. Una differenza di comportamento, quest’ultima, con importanti ripercussioni sul futuro ruolo di Internet rispetto alla televisione: il 30 per cento dei cittadini tra i 18 e i 24
L’esigenza di dare al messaggio una specifica veste mediatica ha risvolti importanti, come attestato da una lunga tradizione di studi di comunicazione. 13 Se non è del tutto vero che il medium coincide, in termini empirici, con il messaggio, il primo esercita certamente un’influenza sostanziale sulla forma e l’effetto del secondo.
Ricapitolando: i media non sono i depositari del potere ma rappresentano, in termini generali, l’ambito ove quest’ultimo viene deliberato. Nelle nostre società, la politica è legata alla politica dei media. Il cui linguaggio ha leggi proprie. Si fonda, difatti, soprattutto sulle immagini. Non necessariamente visive, ma pur sempre immagini. Il messaggio più potente in assoluto corrisponde a un messaggio semplice abbinato a un’immagine. E il messaggio più semplice, in politica, è il volto di una persona. La politica dei media porta alla personificazione della politica attorno a leader che possono essere opportunamente venduti nel mercato politico. Ciò che non andrebbe banalizzato, adducendo come esempi il colore della cravatta o l’espressione del viso. Si tratta della simbolica personificazione di un messaggio di fiducia rispetto a una persona e il suo carattere, e in termini di proiezione dell’immagine di quest’ultimo. 14
L’importanza della politica della personalità è legata all’evoluzione della politica elettorale, in genere determinata da elettori indipendenti o indecisi che, in tutti i Paesi, alterano l’equilibrio tra destra o centrodestra e centrosinistra. Così, sebbene vi siano differenze sostanziali tra partiti e candidati nella maggior parte dei Paesi, programmi e promesse sono confezionati su misura pensando al centro e agli indecisi, spesso dalle stesse società pubblicitarie e consulenti di marketing politico che lavorano alle linee dei partiti ad anni alterni.15 Più cruciali delle tecniche di marketing politico e delle piattaforme studiate su misura, però, sono i valori associati e invocati da candidati diversi. Scrive George Lakoff che “I problemi sono reali, tanto quanto i dati di fatto. Ma sono anche simbolo di valori e credibilità. Una campagna efficace deve trasmettere i valori dei candidati e utilizzare i problemi sul tappeto in chiave simbolica, indicativa dei loro valori morali e della propria affidabilità”.16 Il cittadino comune non studia le piattaforme dei candidati. Piuttosto, fa affidamento su quanto riferiscono i media riguardo alle posizioni di questi ultimi e, in ultima analisi, la sua scelta finale avviene in funzione della fiducia riposta in un determinato candidato. Ragione per cui il carattere, così come dipinto dai media, assurge a elemento essenziale. Difatti, i valori – ciò cui la maggioranza dei cittadini più tiene – sono incarnate nelle persone dei candidati. Sì, i politici danno un volto alla politica.
Se credibilità, fiducia e carattere diventano fattori critici nel determinare un esito politico, la demolizione della prima e l’annientamento dell’ultimo divengono le armi politiche in assoluto più potenti. E dato che tutti i partiti vi fanno ricorso, ognuno di essi deve, in tale battaglia, accumulare quante più munizioni. Ciò che si traduce nella proliferazione di un mercato di intermediari alla continua ricerca di informazioni pregiudizievoli per l’avversario e dediti alla manipolazione di informazioni, o direttamente alla loro contraffazione all’uopo. In più, la politica dei media è costosa, e il sistema legale di finanziamento ai partiti non basta a coprire in toto spese pubblicitarie, analisti elettorali, call center, consulenti e via andare. A prescindere dalla moralità dei singoli politici, dunque, gli agenti politici sono al soldo di lobbisti con grado di moralità variabile. Ciò vale anche per i Paesi europei ove il finanziamento della politica è pubblico e regolamentato. I partiti, difatti, trovano sempre il modo di aggirare i controlli e ricevere elargizioni da occulti donatori. Fondi che vengono poi impiegati in differenti forme di campagna politica quali il pagamento di informatori e procacciatori di informazioni. Il più delle volte, quindi, non è difficile trovare atti illeciti e materiale pregiudizievole per quasi tutti i partiti e candidati. Dato che raramente le vite private sono scevre di ombre, e considerato che molti
anni si informa regolarmente on-line (+1 per cento rispetto al 2000) a fronte del 42 per cento tra i 25 e i 29 anni (+11 per cento), del 47 per cento tra i 30 e i 34 anni (+17 per cento), del 37 per cento tra i 35 e i 49 anni (+12 per cento), e del 31 per cento tra i 50 e i 64 anni (+ 12 per cento) (Ibid.). Incrementi che, tuttavia, appaiono notevolmente maggiori se si analizza la percentuale di cittadini che accede a Internet per informarsi a campagne elettorali in corso (tuttora pari al 20 per cento circa). Un sondaggio post-elettorale condotto su scala nazionale dal Pew Internet & American Life Project, infatti, mostra che la percentuale di popolazione fruitrice di news politiche on-line ha visto, negli Usa, un marcato incremento, passando dal 18 per cento del 2000 al 29 per cento del 2004. Netto anche l’aumento della percentuale di quanti hanno citato Internet tra le fonti primarie di informazione sulla campagna presidenziale: secondo l’11 per cento degli elettori registrati, Internet è stata tra le principali fonti di informazione politica nel 2000 e, secondo il 18 per cento, nel 2004 (Raine, Horrigan & Cornfield, 2005). Eppure, la televisione continua a essere la fonte primaria.
13 A tale proposito, si rimanda anche a Norris e Sanders (2003).
14 Per un’analisi più approfondita dell’interazione parasociale si rimanda a Giles (2002).
15 (Farrell, Kolodny & Medvic, 2001; Jamieson, 1996; e Thurber & Nelson 2000)
16 (Lakoff, 2006, p.7)
(soprattutto se uomini) tendono alla millanteria e all’indiscrezione, peccati personali e corruzione politica danno vita a un potente cocktail di intrighi e gossip, che poi divengono pane quotidiano per la politica dei media. Così, quest’ultima, assieme alla politica della personalità cede il passo alla politica dello scandalo, oggetto di analisi da parte di intellettuali e ricercatori come Thompson (2000), Tumber e Waisboard (2004), Esser e Hartung (2004), Liebes e Blum-Kulka (2004), Lawrence e Bennett (2001) e Williams e Delli Carpini (2004) per citarne solo alcuni. È alla politica dello scandalo che viene fatta risalire la rovina di numerosi politici, governi e addirittura regimi in tutto il mondo, come mostra lo studio dedicato a scandali e crisi politiche globali siglato da Amelia Arsenault (in corso di stampa).
Politica dei media, politica dello scandalo e crisi di legittimità politica
La politica dello scandalo ha un duplice effetto sul sistema politico. Primo, può pregiudicare il processo elettorale e decisionale minando la credibilità di quanti si ritrovano al centro di uno scandalo. Si tratta, però, di un effetto a impatto variabile. Talvolta, la politica “sporca” raggiunge un livello tale di saturazione nell’opinione pubblica da innescare ora una reazione generale, ora totale indifferenza. Talaltra, il pubblico diviene talmente cinico da relegare tutti i politici a un livello di apprezzamento infimo e, di conseguenza, da scegliere, tra tutti gli immorali, quello che trovano più affine o vicino ai propri interessi. Di più: in alcuni casi, i cittadini considerano lo smascheramento di un comportamento disdicevole un fatto divertente, senza tuttavia trarne alcuna lezione politica. Tale sembra essere la spiegazione dell’alto livello di popolarità raggiunto da Clinton al tramonto della sua presidenza, e motivato dal suo curriculum politico, a dispetto delle bugie pronunciate – e riprese dalla tv – davanti a tutto il Paese.17 Un interessante studio siglato da Renshon (2002), però, sembra indicare che tale deficit di moralità abbia comportato, come effetto di secondo ordine, un aumento delle preferenze, in occasione delle elezioni del 2000, a favore di George W. Bush. Candidato che, allora, appariva di più saldi principi rispetto all’Amministrazione in carica.
La politica dello scandalo ha anche un secondo effetto, il quale può avere conseguenze durature sulla prassi democratica. Dato che tutti, in un modo o nell’altro, sbagliano, e la diffamazione è oramai generalizzata, i cittadini finiscono col perdere ogni fiducia nei vari partiti, leader e promesse elettorali, mettendo tutti i politici sullo stesso piano.18 La crisi di legittimità politica riscontrata in gran parte del mondo non può in alcun modo essere attribuita esclusivamente alla politica dello scandalo o dei media. Resta più che verosimile, però, che gli scandali siano quantomeno un fattore precipitante, in grado – sul breve periodo – di innescare un cambiamento politico e – più a lungo termine – di radicare un profondo scetticismo verso la politica ufficiale. 19 Si direbbe che la politica dei media abbia tutte le potenzialità e caratteristiche atte a suscitare sfiducia nel processo democratico.20 Non che si voglia
17 (Williams & Delli Carpini, 2004)
18 Avvalendosi dei dati del World Values Survey, Treisman (1997) rileva un rapporto tra livelli di corruzione percepita e basso grado di fiducia nel sistema politico. Studi più recenti segnalano trend analoghi. Chang and Chu (2006), ad esempio, sono giunti a risultati simili studiando il caso asiatico (Giappone, Thailandia, Filippine, Taiwan e Corea del Sud). Partendo da una serie di dati su relativi a Paesi dell’Europa orientale e occidentale, Anderson e Tverdova (2003) hanno rilevato che i cittadini di Paesi corrotti esprimono un livello più basso di fiducia nella politica. Analogamente, avvalendosi dei risultati di uno studio transnazionale su quattro Paesi dell’America Latina, Seligson (2002) ha constatato che l’esposizione alla corruzione è connessa all’erosione della fiducia interpersonale e verso il sistema politico. Anche se corruzione percepita e scandali sono due cose diverse, la prima rappresenta la materia prima necessaria per la costruzione dei secondi.
19 A tale proposito, la questione è un po’ problematica sotto il profilo della causalità: c’è maggiore corruzione (anche solo percepita) nelle società sfiduciate o i cittadini tendono ad avere minore fiducia quando avvertono un alto livello di corruzione? Treisman (2000) e Uslaner (2004) sono tra quanti ritengono più verosimile la seconda ipotesi.
20 Esistono pareri discordanti quanto alla probabilità che la politica dello scandalo influenzi direttamente il comportamento degli elettori. Negli Usa, però, uno studio del Pew Research Center for the People and the Press condotto nel marzo 2006 ha documentato che la scoperta di fatti di corruzione condiziona il comportamento degli elettori, ma non necessariamente il loro orientamento politico. Il 69 per cento di quanti avevano dichiarato di avere seguito attentamente la copertura mediatica di scandali e storie di corruzione al Congresso si era detto convinto che la maggior parte dei membri in carica dovesse essere destituita nelle elezioni dell’autunno 2006, a fronte del 36 per cento di quanti hanno confessato di avere seguito i media molto poco o senza alcuna attenzione. Trend ancora più pronunciato tra gli elettori indipendenti (una forza cruciale nella politica americana): il 77 per cento di coloro che hanno seguito da vicino gli scandali mediatici ha affermato che la gran parte dei membri del Congresso non avrebbe dovuto essere rieletta nel 2006 (Pew Center for the People and the Press, 2006b). Altri studi hanno mostrato come la politica dello scandalo possa essere collegata alla fiducia nel sistema in generale, ma non al voto dei singoli cittadini per il proprio rappresentante. È chiaro, tuttavia, che la politica dello scandalo abbia alterato forma e metodo della prassi politica e giornalistica (Tumber & Waisboard, 2004; Thompson, 2002; e Williams & Delli Carpini, 2004).
addossarne la colpa ai media, giacché il più delle volte, in realtà, sono gli attori politici e i rispettivi consulenti la fonte di indiscrezioni e informazioni compromettenti. Come già detto, i media rappresentano lo spazio di costruzione del potere, non la fonte della sua conservazione.
Si assiste, in ogni caso, a una profonda crisi di legittimità politica praticamente in tutti i Paesi, con la parziale eccezione della Scandinavia. Stando ai sondaggi commissionati nel 2000 e 2002 dal Segretariato delle Nazioni Unite e dal World Economic Forum, i due terzi dei cittadini di tutto il mondo ritengono che il proprio Paese non sia governato dalla volontà popolare. Percentuale che lievita al 59% e 61% rispettivamente negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Da qualche anno a questa parte, l’Eurobarometro – il rapporto sulla democrazia in America Latina elaborato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) –, la World Values Survey e diversi sondaggi realizzati da Gallup, Field Institute e Pew Institute negli Usa indicano un notevole livello di sfiducia, tra i cittadini, verso politici, partiti, parlamenti e – in misura minore – governi.21 Ciò che in parte spiega come mai, in tutti i Paesi, la maggioranza della popolazione tenda a votare contro e non per qualcuno, scegliendo il male minore, o optando per un voto di protesta a favore di partiti terzi o candidati alternativi, spesso pungolata dalle pittoresche apparizioni mediatiche di questi ultimi che, per la gioia di registi e giornalisti, aprono le porte alla politica demagogica. 22 Al contempo, la sfiducia verso il sistema non implica alcuna de-politicizzazione.23 Numerosi studi, tra cui il World Values Survey, indicano che un’alta percentuale di cittadini è convinta di potere influenzare, attraverso la propria mobilitazione, il quadro globale.24 Solo, è
21 Da un sondaggio GlobeScan commissionato dal World Economic Forum (Wef) nel 2005 emerge un abbassamento costante del livello di fiducia in tutti i Paesi presi ad esame – salvo la Russia – attraverso una serie di istituzioni (Ong, Nazioni Unite, governi nazionali, gruppi e corporation nazionali e internazionali). Soltanto in sei dei sedici Paesi per i quali erano disponibili dati e statistiche, la percentuale di cittadini fiduciosi verso i governi nazionali ha superato quella degli sfiduciati (GlobeScan/WEF, 2006). Secondo il sondaggio Gallup International Voice of the People del 2005, anch’esso commissionato dal Wef, il 61 per cento della popolazione presa ad esame ha affermato di considerare i politici come persone disoneste (Gallup/WEF, 2006). Stando all’ultimo sondaggio Eurobarometro, soltanto il 33 degli europei intervistati si fida dei rispettivi governi nazionali, e il 39 per cento ha fiducia nel proprio parlamento (2006, p. 25). Anche la fiducia nelle istituzioni dell’Unione Europea vede una flessione generalizzata (Eurobarometro 2006, p. 72). Secondo il Pew Research Center for the People and the Press, il 65 per cento degli americani si dice fiducioso verso il proprio governo soltanto “a volte” o “mai” (2006b, p. 11). L’ultimo Latinobarometro mostra una leggera flessione quanto al livello di fiducia nel periodo 2002-2005. È tuttavia netta la spaccatura tra fiducia nelle istituzioni governative o nelle élite. La prima si attesta ovunque su livelli generalmente più alti, ma la fiducia nelle élite ha visto un leggero incremento mentre quella nei governi ha subito una lieve flessione. Sulla scia dello scandalo che ha coinvolto il presidente Lula, ad esempio, la fiducia nelle istituzioni governative è scesa di 20 punti arrivando al 47 per cento, pur mantenendo al leader brasiliano il sostegno di circa la metà della popolazione (Latinobarometro, 2005, p. 10). Quanto alle analisi dei dati del World Values Survey sui livelli di fiducia nei governi, si rimanda a Dalton (2004), Dalton (2005) e Inglehart e Catterberg (2002).
22 Analizzando i risultati di diversi sondaggi elettorali in tutto il mondo, Dalton (2004) documenta una marcata flessione quanto al vincolo tra cittadini e partiti. La Nuova Zelanda mostra il calo più marcato di partisanship (33 per cento), seguita dall’Irlanda (32 per cento). Tra gli altri Paesi con un evidente crollo della partisanship si segnalano Stati Uniti (17 per cento), Giappone (22 per cento), Francia (19 per cento) e Germania (10 per cento). Stando ai dati Eurobarometro diffusi nel giugno 2006, soltanto il 19 per cento della popolazione campione ripone fiducia nei propri partiti politici. Secondo un sondaggio condotto su 62 Paesi nell’ambito del Global Corruption Barometer di Transparency International, inoltre, i partiti politici sono percepiti come le istituzioni della società di gran lunga più corrotte (Transparency International, 2006, p. 3).
23 Analizzando una serie di dati del Comparative Study of Electoral Systems, Dalton (2005) avanza l’ipotesi che gli americani – e i cittadini in genere – restino comunque legati alla politica: “Perché finora tutte le analisi — salvo quelle di Tocqueville — non hanno colto la costante natura partecipativa degli americani? Sospettiamo che la ragione risieda in parte nella natura mutevole della partecipazione negli Usa. I fattori più facili da registrare — partecipazione alle elezioni nazionali e appartenenza ufficiale a importanti associazioni nazionali — mostrano una flessione quanto ai livelli di attività”. In altre parole, la mobilitazione politica e sociale resta significativa, negli Usa come nel mondo in generale, a dispetto della partecipazione ad associazioni civili e dell’affluenza elettorale.
24 Secondo il rapporto 2005 del Center for the Digital Future, il 39,8 per cento (rispetto al 27,3 per cento dello studio precedente) degli utenti Internet crede che “navigare nella rete può garantire ai cittadini maggiore potere politico”. Inoltre, il 61,7 per cento degli interpellati (utenti Internet e non) crede che navigare nella rete “è divenuto importante per le campagne politiche” (2005, p. 102). Castells, Tubella, Sancho, Diaz de Isla e Wellman (2003), in uno studio svolto su 3 mila soggetti rappresentativi della popolazione della Catalogna, hanno rilevato che mentre soltanto l’1 per
consapevole di non poterlo fare attraverso la politica tradizionale. Di qui l’emersione dei processi di contropotere, legati ai movimenti e alla mobilitazione sociale.
Qualsiasi intervento politico nello spazio pubblico, però, richiede la presenza in quello mediatico. E poiché quest’ultimo è ampiamente plasmato da gruppi economici e governi che fissano i parametri politici a livello di sistema politico ufficiale, pur nella sua pluralità, l’emersione di politiche insurrezionali non può essere scissa dalla manifestazione di un nuovo tipo di spazio mediatico, il quale si fonda sul processo di mass self-communication.
L’affermazione della mass self-communication
La diffusione di Internet, della comunicazione mobile e dei media digitali, assieme a un’ampia serie di strumenti di social software hanno favorito lo sviluppo di reti di comunicazione interattiva e orizzontale in grado di connettere, in qualsiasi momento, “locale” e “globale”. Il sistema di comunicazione della società industriale ruotava attorno ai mass media, caratterizzati dalla distribuzione di massa di un messaggio unidirezionale one-to-many, da uno a molti. Il fondamento comunicativo della network society è costituito dal sistema globale di reti di comunicazione orizzontale, che comprende lo scambio multimodale di messaggi interattivi many-to-many, ossia da molti a molti, sincroni e asincroni. Naturalmente, essendo stato lanciato nel 1969, Internet rappresenta una tecnologia già superata. Solo nell’ultimo decennio, però, esso ha raggiunto una diffusione mondiale, superando oggi il miliardo di utenti. 25 Quanto alla comunicazione mobile, ha visto un autentico boom e superato, nel 2006, i due miliardi di utenti di telefoni cellulari, a fronte dei 16 milioni del 1991.26 Così, anche tenendo conto della diffusione differenziale nei Paesi in via di sviluppo e nelle regioni più povere, un’altissima percentuale della popolazione del Pianeta ha oramai accesso alla comunicazione mobile, talvolta in aree prive di elettricità ma dotate di una qualche forma di copertura o di caricabatterie “mobili ” per i telefonini, come quelli da bicicletta. Le reti Wifi e wimax favoriscono la creazione di networked communities, comunità in rete. E con la convergenza di Internet, comunicazione mobile e graduale diffusione della banda larga, il potere comunicativo di Internet arriva ad investire tutti gli ambiti della vita sociale, così come la rete e il motore elettrico distribuivano energia nella società industriale. 27 Facendo proprie queste nuove forme di comunicazione, gli individui si sono creati un proprio sistema di mass communication fatto di sms, blog, vlog, podcast, wiki e affini.28 Il file sharing e le reti p2p (peer-to-peer) permettono la circolazione e riformattazione di qualsiasi contenuto formattato digitalmente. Lo scorso ottobre, il motore di ricerca Technorati indicizzava 57,3 milioni di blog, rispetto ai 26 milioni del gennaio precedente. Una media di 75 mila nuovi blog sono creati ogni giorno. E circa 1,2 milioni di post vengono pubblicati quotidianamente, mentre gli aggiornamenti dei blog si aggirano intorno ai 50 mila ogni ora. Aggiornamenti che molto spesso avvengono regolarmente: si stima – ciò che sfata un mito ben diffuso – che il 55 per cento dei blogger continui a scrivere sul proprio blog dopo i tre mesi dalla sua creazione. 29 Sempre secondo dati Technorati, nel 2006 la blogosfera era sessanta volte più estesa rispetto al 2003, e ogni sei mesi raddoppia di dimensioni. Si tratta di uno spazio comunicativo internazionale e multilingue ove, secondo dati aggiornati a marzo 2006, la lingua inglese, che godeva di predominio assoluto agli albori dello sviluppo dei blog, viene oggi impiegata in meno di un terzo dei post, scritti prevalente in lingua giapponese (37 per cento), inglese (31 per cento) e cinese (15 per cento). A seguire, spagnolo, italiano, russo, francese, portoghese, olandese, tedesco e coreano. 30
cento era impegnato in attività legate ai partiti politici, e la maggioranza non riponeva alcuna fiducia nei partiti o nei governi, un terzo degli interpellati era impegnato in associazioni e movimenti di vario tipo, e oltre il 70 per cento riteneva di potere “influenzare il quadro globale” attraverso la propria mobilitazione sociale.
25 Il Pew Global Attitudes Project (2006a) documenta un significativo incremento quanto alla diffusione di Internet in tutti i Paesi (occidentali e non) ove è possibile operare un confronto rispetto al passato. Anche il Center for the Digital Future (2005) dà conto di trend analoghi per quanto riguarda gli Stati Uniti.
26 Statistiche aggiornate sono disponibili al sito dell’International Telecommunications Union (ITU) http://www.itu.int.
27 Si rimanda, tra gli altri, a Castells, Qui, Fernandez-Ardevol, Sey (2006) e Castells (a cura di, 2004). Tuttavia, se un livello minimo di connettività è sempre più spesso e ovunque disponibile, la diffusione della connettività a banda larga resta altamente discontinua, e ciò in ragione dei tradizionali steccati e disuguaglianze a livello di reddito, geografiche (ubicazione rurale/urbana), di razza/etnicità, genere, istruzione ed età, che continuano a condizionare in modo significativo l’acceso alla connettività a banda larga e l’accesso alle relative competenze informatiche. Si ricordano, tra gli altri, gli studi di Tolbert e Mossberger (2006).
28 (De Rosnay & Failly, 2006; Gillmor, 2004; Drezner & Farrell, 2004; e Cerezo, 2006)
29 Dato riportato il 22 ottobre 2006 su www.technorati.com/about.
30 (Sifry, 2006)
La maggior parte dei blog è di carattere personale. Secondo il Pew Internet & American Life Project, il 52 per cento dei blogger sostiene di farne uso prettamente privato, mentre il 32 per cento si rivolge alla propria audience. 31 Così, tale forma di mass self-communication è per molti versi più vicina all’“autismo informatico” che alla comunicazione vera e propria. Eppure, ogni singolo post lasciato sul Web diviene, a prescindere dalle intenzioni dell’autore, una bottiglia nell’oceano della comunicazione globale; un messaggio suscettibile di essere recepito e rielaborato in modi assolutamente imprevisti. I feed RSS, inoltre, consentono l’integrazione e il linking dei contenuti ovunque. Si è creata una versione dello Xanadu di Nelson sotto forma di ipertesto multimodale globale. Con tanto di: stazioni radio FM a basso consumo, network di street tv, boom dei telefonini, capacità di produzione e distribuzione low-cost di audio e video digitali e sistemi di video editing non lineari basati su pc, che sfruttano il prezzo al ribasso dello spazio di memoria. I trend-chiave sono: crescente diffusione dell’Iptv (tv su protocollo Ip), streaming video p2p, vlog (o video-blog), e un nugolo di social software che hanno reso possibile la nascita di comunità on-line e dei Massively multiplayer online games (Mmog). È sempre più diffuso l’impiego di tali reti di comunicazione orizzontale nel settore della mass communication. Certo è che i media mainstream usano blog e network interattivi per divulgare i loro contenuti e interagire con la propria audience, combinando modalità di comunicazione verticale e orizzontale. Ma altrettanti esempi mostrano che i media tradizionali, come la tv via cavo, contano esclusivamente sulla produzione autonoma di contenuti avvalendosi della capacità di produzione e distribuzione digitale. Negli Stati Uniti, uno degli esempi più citati a proposito è Current Tv, la televisione di Al Gore, i cui contenuti generati dagli utenti e poi sottoposti a un editing professionale già corrispondono a circa un terzo del totale. 32 I media dedicati alle news basati su Internet, come Jinbonet e Ohmy News in Corea o Vilaweb Barcellona, si stanno affermando quali fonti di informazione affidabili e innovative su scala di massa. 33 Così, la crescente interazione tra reti di comunicazione orizzontale e verticale non sottintende che i media mainstream abbiano la meglio sui nuovi, autonomi modelli di generazione e distribuzione di contenuti. Implica, invece, un processo per certi versi contraddittorio e che dà vita a una nuova realtà mediatica, i cui contorni ed effetti finali saranno determinati da una serie di lotte di potere politico ed economico, dato che i proprietari delle reti di telecomunicazioni già si stanno adoperando per il controllo di accesso e traffico a beneficio dei propri partner commerciali e clienti più importanti.
Il crescente interesse, da parte dei media ufficiali, verso i sistemi di comunicazione basati su Internet riflette, in realtà, lo sviluppo di una nuova forma di comunicazione socializzata: la mass self-communication. È una comunicazione di massa, poiché raggiunge potenzialmente un’audience globale attraverso le reti p2p e la connessione Internet. È una comunicazione multimodale, in quanto la digitalizzazione dei contenuti e di social software avanzati, spesso basati su open source e scaricabili gratuitamente, permette la riformattazione di praticamente ogni contenuto e in qualunque forma, sempre più spesso distribuiti via reti wireless. Ed è un tipo di comunicazione autonomo a livello di generazione di contenuti, gestione dell’emissione e selezione della ricezione nell’ambito dell’interazione many-to-many. Siamo oramai immersi in un universo di comunicazione completamente nuovo e, in ultima analisi, in un nuovo medium, la cui spina dorsale è costituita da reti di pc, il cui linguaggio è digitale, e i cui trasmettitori sono distribuiti globalmente e globalmente interattivi. È sicuramente vero che un medium, anche rivoluzionario come quello appena descritto, non determina i contenuti e l’effetto dei suoi messaggi. Esso rende possibile, però, la varietà illimitata e l’origine in larga parte indipendente della gran parte dei flussi di comunicazione che continuamente fanno e disfano la produzione di significato locale e globale nell’opinione pubblica.
Mass self-communication e contropotere
Per “contropotere” si intende qui la capacità, da parte degli attori sociali, di sfidare e infine modificare i rapporti di potere istituzionalizzati nella società. In tutte le società conosciute, difatti, il contropotere si manifesta, sotto varie forme e con intensità variabile, come una delle poche leggi naturali della società, suffragate dall’intero
31 Inoltre, sempre secondo il citato studio Pew, soltanto l’11 per cento dei nuovi blog è dedicato alla politica (Lenhart & Fox, 2006, p. ii-iii).
32 Current TV è disponibile su DirectTv, TimeWarner e Comcast negli Stati Uniti (con cavi di prima qualità), ma anche
nel Regno Unito ne è stata lanciata una versione su BSkyB. Current TV si avvale della collaborazione di Google per l’aggiornamento delle sue ricerche su base oraria e ha siglato un contratto con Yahoo video per la fornitura di contenuti a quattro canali a banda larga (http://video.yahoo.com/currenttv)
33 Jinbonet è il network mediatico progressista della Corea del Sud, nonché il principale strumento di comunicazione per la società civile e i movimenti sociali sudcoreani. OhMy News, però, si sta decisamente spostando verso una politica centrista e una struttura organizzativa delle news tradizionalmente verticale. Nella loro analisi di OhMy news, Kim e Hamilton (2006) illustrano come esso ricalchi molti dei canali di notizie mainstream tradizionali e di stampo consumista, proprio mentre si spaccia quale voce alternativa all’attivismo sociale.
corso della storia, per cui ovunque esista una qualche forma di dominio, c’è anche una resistenza che vi si oppone, sia essa politica, culturale, economica, psicologica o di diverso tipo. Negli ultimi anni, parallelamente alla sempre più marcata crisi di legittimità politica, si è assistito, nella gran parte dei Paesi, allo sviluppo di movimenti sociali, che si manifestano in forme assai eterogenee e secondo sistemi di valori e convinzioni fortemente contrastanti, ma che si oppongono a quello spesso definiscono “capitalismo globale”.34 Molti di essi, inoltre, lanciano una sfida verso il patriarcalismo sull’altare dei diritti di donne, bambini e minoranze sessuali, e si oppongono al produttivismo, propugnando una visione olistica dell’ambiente naturale e uno stile di vita alternativo. In buona parte del globo, difatti, l’identità, sia essa religiosa, etnica, territoriale o nazionale, è divenuta una fonte di interesse e ispirazione verso progetti alternativi di organizzazione sociale e institution building. In realtà, molto spesso movimenti sociali e politiche insurrezionali riaffermano valori e modelli tradizionali – quali, ad esempio, religione, famiglia patriarcale o nazione – che, a loro sentire, nonostante siano inscritti nell’atto fondativo delle istituzioni, sono de facto traditi. I movimenti sociali, cioè, possono essere progressisti, reazionari o semplicemente alternativi, senza altri aggettivi. In ognuno di questi casi, tuttavia, essi rappresentano azioni collettive mirate, che si propongono di cambiare valori e interessi istituzionalizzati in una data società, ciò che significa modificare i rapporti di potere. 35
I movimenti sociali sono elemento costante della società. I valori cui si ispirano e le forme organizzative adottate, però, variano a seconda del conteso sociale nel quale essi operano. È immensa, dunque, la loro varietà culturale e politica in tutto il mondo. Al contempo, tuttavia, essendo i rapporti di potere oramai strutturati in reti globali ed espressi nell’universo della comunicazione socializzata, i movimenti sociali intervengono anche in tale network globale, e prendono parte alla battaglia volta alla conquista delle menti inserendosi nel processo di comunicazione globale. Pensano local, con le proprie radici bene aggrappate alla società, ma il loro agire è global, giacché sfida il potere proprio ove sono i detentori di quest’ultimo: nei network di potere globali e nella sfera della comunicazione.36
L’affermazione della mass self-communication offre uno straordinario medium a movimenti sociali e soggetti insurrezionali che intendono costruire la propria autonomia e sfidare le istituzioni della società alle loro condizioni e sulla base dei propri progetti. Naturalmente, i movimenti sociali non sono originati dalla tecnologia, bensì si avvalgono di quest’ultima. La quale, però, non è soltanto uno strumento: è un medium, una struttura sociale con implicazioni proprie. Di più: lo sviluppo della tecnologia della self-communication è anche il prodotto della nostra cultura; una cultura che pone l’accento sull’autonomia individuale, e l’auto-costruzione del progetto degli attori sociali. In realtà, dai miei studi empirici sulle possibilità di impiego di Internet nella società catalana emerge che più un individuo coltiva un progetto di autonomia (personale, professionale, socio-politica, comunicativa), maggiore è l’impiego che essa fa di Internet. E, di conseguenza, più gli individui usano Internet, più la società si emancipa da regole e istituzioni della società. 37
Secondo tale paradigma culturale e tecnologico, i movimenti sociali nell’era dell’informazione e le nuove forme di mobilitazione politica fanno largo uso dei mezzi di mass self-communication, pur agendo anche sui mass media mainstream, nel tentativo di influenzare l’opinione pubblica in generale. Dalle ricerche sulle pratiche di comunicazione dei movimenti sociali a livello mondiale svolte assieme a Sasha Costanza-Chock emerge che, in assenza di mezzi e modalità della mass self-communication, i nuovi movimenti e le nuove forme di politica insurrezionale non sarebbero concepibili. Esiste, va da sé, una lunga tradizione di attivismo comunicativo, né i movimenti sociali hanno atteso la connessione a Internet per lottare per i propri obiettivi avvalendosi di qualsiasi medium di comunicazione disponibile. 38 Oggi, però, i nuovi mezzi di comunicazione digitale costituiscono la loro forma organizzativa di gran lunga più decisiva, ciò che segna un netto strappo rispetto ai tradizionali modelli di organizzazione di partiti, unioni e associazioni della società industriale, sebbene anche tali attori sociali vadano oramai in direzione di una nuova struttura organizzativa costruita attorno alla comunicazione networked, in rete. Secondo la prospettiva dei nuovi movimenti sociali, Internet
34 (Keck & Sikkink, 1998; O’Brien, Goetz, Scholte, & Williams, 2000; Kaldor, 2003; Juris, 2004; e Amoore, a cura di., 2005)
35 (Castells, 2004).
36 (Juris, 2004; Couldry e Curran, a cura di., 2003)
37 (Castells, Tubella et al, 2003; Castells, Tubella et al, 2004)
38 Per una panoramica storica e teorica su movimenti sociali e comunicazione si rimanda, tra gli altri, a Downing (2001). Si ricordano anche gli atti dell’International Workshop on Horizontal Networks of Communication, riunito dall’Annenberg Research Network on International Communication presso l’Annenberg Center for Communication (University of Southern California) di Los Angeles il 6 e 7 ottobre 2006.
offre un’indispensabile piattaforma di dibattito, gli strumenti per agire sulle menti degli individui e rappresenta, in ultima istanza, la più potente arma politica a loro disposizione. I movimenti sociali, però, non esistono solo su Internet. Radio locali e stazioni tv, gruppi indipendenti di produzione e distribuzione video, reti p2p, blog e podcast costituiscono un network interattivo variegato richiama a sé il movimento stesso, connette gli attori sociali al la società in generale, e agisce sull’intero universo delle manifestazioni culturali. In più, i movimenti si radicano anche, nella loro profonda diversità, nelle realtà e vite locali, e nell’interazione face-to-face. E, nel momento in cui entrano in azione, si mobilitano in realtà specifiche, che spesso corrispondono ai luoghi del potere e delle istituzioni. Come, quando, ad esempio, contestano le riunioni del Wto, del Fmi o del G-8 ove esse si svolgono.39 Lo spazio dei nuovi movimenti sociali dell’era digitale, dunque, non è virtuale; si tratta, al contrario, di un connubio di “spazio dei flussi” e “spazio dei luoghi”, come in passato si è tentato di spiegare nella generale analisi della network society.40 I movimenti sociali hanno scelto di non restare relegati nel frammentario spazio dei luoghi, e di conquistare lo spazio globale dei flussi, pur senza arrivare a un’eccessiva virtualizzazione, bensì conservando la propria esperienza locale e i punti di approdo delle proprie battaglie quali fondamento materiale del loro obiettivo ultimo: il recupero del significato nel nuovo spazio- tempo della nostra esistenza, che si compone di entrambi i flussi, i luoghi e la loro interazione. Ciò che equivale alla costruzione di reti di significato da contrapporre a quelle di strumentalità.
Tale analisi è suffragata da una serie di trend sociali manifestatisi di recente:
Presenza del movimento mondiale anti-globalizzazione fondata sul modello capitalista su Internet e sul network di comunicazione costruito attorno a Indymedia e affiliati quali forme di informazione, organizzazione, dibattito e pianificazione dell’azione. 41 Ma anche ricorso all’azione diretta e simbolica contro i
luoghi del potere al fine di esercitare un impatto sui media mainstream e, attraverso di essi, sull’opinione
pubblica corrente.
Creazione di reti di comunicazione indipendenti volte a sfidare il potere dell’industria mediatica globalizzata e dei media controllati da governi e gruppi economici. Proprio come è avvenuto in Italia con stazioni radio pirata e tele street (come “Tele Orfeo”), su cui viene riversato materiale audiovisivo via reti p2p e feed RSS e mirate
a contrastare il monopolio di Berlusconi sulle reti televisive sia private che pubbliche. O diffusione delle tv
attiviste di quartiere come Zalea TV a Parigi, Okupem les Ones a Barcelona, TV Piquetera a Buenos Aires e molti altri esperimenti simili in tutto il mondo. 42
Sviluppo di forme di organizzazione politica autonome in occasione di campagne politiche, tra cui le iniziative di raccolta fondi e la mobilitazione di volontari per calamitare voti, come esemplificato – nelle primarie per le presidenziali Usa 2003-2004 – dalla campagna di Howard Dean, secondo l’analisi condotta assieme ad Araba
Sey.43 Iniziative come quelle dei sostenitori di Dean, i quali si sono avvalsi dei MeetUp, sono un esempio della
capacità dei network di affinità di fare leva su Internet e trasformare l’affinità virtuale in vicinanza fisica e community action. 44 Certo, la sconfitta di Howard Dean alle primarie ha mostrato la forza della tradizionale politica dei media rispetto a fragili forme di mobilitazione basata su Internet. Ma non si dovrebbe dare eccessivo risalto all’esito di un singolo esperimento dove anche altre variabili, come i limiti del candidato
39 Tutto ciò avviene nonostante gli attori di movimenti differenti abbiano diversi livelli di accesso alle reti di comunicazione avanzate. Burch, León e Tamayo (2004), ad esempio, documentano come i movimenti di indigeni e campesinos in America Latina tengano contatti principalmente attraverso le e-mail. Le quali, inoltre, sono spesso usate soltanto ai leader dei movimenti a livello nazionale o regionale.
40 (Castells, 2000).
41 A tutt’oggi, gli studi accademici sulle news on-line hanno per lo più ignorato Indymedia, il che è curioso dato che il sito (e tutti quelli ad esso collegati) ha avuto nel 2006 un numero di visitatori paragonabile a quello di DailyKos, il primo blog politico negli Usa. Tra le pubblicazioni disponibili dedicate a Indymedia ricordiamo, tra le altre, lo studio Kidd (2003), Downing (2003) e Juris (2004). Indymedia si avvale di una rete globale di validi reporter, che a volte pagano con la loro vita il proprio lavoro. Come nel caso di Brad Will, reporter americano di Indymedia, freddato a colpi di pistola da alcuni poliziotti messicani in borghese al soldo del governatore Ulises Ruiz mentre filmava la violenta repressione degli attivisti grassroots nella città di Oaxaca il 28 ottobre 2006.
42 O’Connor (2004), Opel (2004), Soley (1999), Tyson (1999), e Ward (2004), solo per citarne alcuni, hanno ripercorso la lunga storia del ruolo di radio libere o pirata nei movimenti sociali. Tra gli studi non accademici sulle emittenti tv indipendenti, ricordiamo l’articolo “Telestreet Movement” (Web of Struggles, 2006).
43 (Sey & Castells 2004).
44 Per un’analisi più approfondita di tale processo si rimanda allo studio di Trippi (2004).
stesso o le preoccupazioni dovute al terrorismo in un Paese in stato di guerra, hanno avuto il loro peso nella scelta degli elettori.
Diffusione della mobilitazione politica istantanea grazie ai telefoni cellulari la quale, supportata da Internet, sta cambiando il panorama politico. Diventa sempre più difficile, per i governi, nascondere o manipolare informazioni. Intrighi e manipolazioni sono subito smascherati e impugnati da una miriade di attenti
osservatori, mentre in migliaia fanno appello al dibattito e alla mobilitazione che, seppure prive di un
coordinamento centrale, condividono gli stessi obiettivi, i quali spesso coincidono con la richiesta o l’ordine di dimissioni nei confronti di governi o funzionari statali. Assieme a Mireia Fernandez, Jack Qiu e Araba Sey, si è proceduto all’analisi di alcuni recenti casi di mobilitazione a livello mondiale: dalla Corea alle Filippine, alla Thailandia, al Nepal, all’Ecuador, all’Ucraina e alla Francia. Casi che hanno avuto esiti tanto clamorosi come la sconfitta, in Spagna, del Premier Aznar il 14 marzo 2004, dopo che il suo tentativo di manipolare l’opinione pubblica, mentendo sugli autori di un fatto tanto tragico come il massacro di Madrid dell’11 marzo, gli si ritorse contro all’ultimo momento, grazie alla mobilitazione spontanea della gioventù spagnola, “armata” dei propri telefonini. Non si tratta di un effetto della tecnologia, bensì della capacità, da parte della tecnologia networked, di distribuire orizzontalmente messaggi cui la coscienza pubblica sente di potere dare fiducia. 45 Nel dicembre 2005 si è tenuto, in Canada, il primo incontro di Mobile Active, che ha permesso ad attivisti provenienti da tutto il mondo di condividere esperienze, abilità, tattiche e strumenti nel nuovo panorama dell’attivismo socio-politico. 46 Nascono, al contempo, network di ricerca-azione come Our Media/Nuestr@s Medios, che curano la divulgazione di strumenti, ricerche e idee prodotti dai nuovi movimenti sociali nell’era dell’informazione. 47
La grande convergenza: i rapporti di potere nel nuovo spazio comunicativo
È lecito affermare che la differenza tra mass media e mass self-communication ha valore analitico, ma soltanto a condizione che si aggiunga che le due modalità di comunicazione interagiscono nella pratica della comunicazione stessa, proprio perché le tecnologie di comunicazione convergono. I gruppi mediatici puntano a collocarsi nell’universo della comunicazione mediato da Internet; i media mainstream creano link diretti alla rete di comunicazione orizzontale e ai propri utenti, divenendo in tal modo meno unidirezionali nei loro flussi di comunicazione, giacché sondano inevitabilmente la blogosfera al fine di selezionare temi e questioni di potenziale interesse per la propria audience; gli attori che si battono per il cambiamento sociale si avvalgono spesso della piattaforma Internet quale strumento per influenzare l’agenda delle news dei media mainstream; e le élite politiche, secondo un meccanismo del tutto trasversale, fanno uso sempre maggiore di metodi e strumenti della mass self- communication, in quanto la loro flessibilità, istantaneità e disinvolta capacità di divulgare materiale di ogni sorta si addicono particolarmente alla pratica della politica dei media in tempo reale. L’analisi della trasformazione dei rapporti di potere nel nuovo spazio di comunicazione, dunque, deve tenere conto dell’interazione tra attori politici, sociali e gruppi mediatici nell’ambito tanto dei mass media, quanto dei media networked, ma anche nell’interconnessione di media diversi che, in un sistema mediatico ri-configurato, si fanno sempre più articolati. Si procederà ora all’illustrazione di tali nuovi sviluppi con l’aiuto di alcuni esempi, cercando di ravvisare un significato analitico nei trend osservati, grazie anche al contributo di esperti e studiosi di comunicazione.
Strategie di Business Media
La prova più lampante che i media ufficiali stiano dirottando le proprie strategie su Internet è costituita dai loro investimenti. Nel 2006, ad esempio, NewsCorp (il gruppo mediatico presieduto da Rupert Murdoch) ha acquisito MySpace, network di comunità virtuali e pagine personali che, a metà 2006, aveva superato i 100 milioni di pagine e i 77 milioni di utenti. Lo scorso 20 ottobre, nel corso di un’assemblea azionaria di NewsCorp, Murdoch ha annunciato la nuova strategia societaria, tutta incentrata su Internet: “Per alcuni dei colleghi dei media businesses tradizionali, quello attuale è sicuramente uno dei periodi più duri. Per noi, invece, sono tempi grandiosi. Riducendo i costi principali,
45 (Castells, Fernandez-Ardevol, Qui, & Sey, 2004).
46 Rimandiamo, a tale proposito, al sito http://www.mobileactive.org. Sviluppi più recenti nell’uso dei telefoni cellulari da parte dei movimenti sociali comprendono la sempre più diffusa capacità di creare e trasmettere contenuti che non si limitano agli sms. Inoltre, la possibilità – garantita dai telefonini di ultima generazione – di realizzare foto e video di più elevata qualità, ha portato alla creazione di diversi software che consentono di pubblicare foto, audio e video delle mobilitazioni direttamente sui siti Web dei movimenti.
47 Rimandiamo, a tale proposito, a http://www.ourmedianet.org.
agevolando l’accesso a nuovi clienti e mercati e moltiplicando le opportunità che possiamo offrire, la tecnologia ci sta affrancando dai vecchi lacciuoli”.48 La strategia NewsCorp, però, prevede anche la piena comprensione delle nuove regole del gioco. Il segreto di una proficua integrazione di MySpace nella generale strategia NewsCorp, difatti, è mantenere alle community MySpace la propria autonomia, consentendo loro di fissare da sé le proprie regole, o meglio di ideare nuove forme di espressione e comunicazione. Calamitando milioni di persone verso MySpace, NewsCorp accumula un mercato pubblicitario potenzialmente enorme. Potenziale che, però, va usato con accortezza, facendo sì che gli utenti si sentano a casa propria, proprio come accade ai loro genitori mentre ingollano pubblicità su pubblicità televisiva nell’intimità del proprio salotto. Nella misura in cui NewsCorp non si allontani dal già consolidato modello di personalizzabilità che più di tutti ha fatto il successo di MySpace, gli utenti potrebbero accettare la commercializzazione del proprio spazio on-line. 49
Tra gli altri esempi di importanti accordi per la fusione di vecchi e nuovi media, che si tratti di acquisizioni o di forniture di contenuti, occorre ricordare l’acquisto di YouTube da parte di Google, nell’ottobre 2006, per 1,6 miliardi di dollari. Sebbene YouTube generasse, al momento dell’acquisizione, un reddito minimo se non inesistente, il suo potenziale quale spazio pubblicitario ha rappresentato un’attrattiva irresistibile per Google. Nelle settimane successive all’acquisto, le corporation si sono riversate a frotte su YouTube. Burger King, ad esempio, ha lanciato un proprio canale su YouTube; Warner Music ha recentemente siglato un accordo per la fornitura di video musicali attraverso YouTube con pubblicità embedded; e la Nbc, che inizialmente guidò la carica per costringere YouTube a rimuovere i contenuti coperti da copyright, ha di recente sottoscritto con quest’ultima un importante accordo di promozione incrociata. Altri giganti mediatici stanno pianificando il lancio di siti simili a YouTube. Microsoft ne sta sviluppando una versione propria, mentre Kazaa ed EBay stanno elaborando il Venice Project, un servizio di video-sharing basato su tecnologia p2p più che sullo streaming video.50
Gli investimenti delle grandi corporation su YouTube, assieme ai tentativi di controllare finanziariamente tali network, inoltre, contribuiscono ad assicurare il costante successo dei media mainstream. Ora che YouTube ha il sostegno finanziario di Google, i grandi gruppi mediatici possono fare pressioni affinché i contenuti protetti da Copyright vengano rimossi (in passato, YouTube aveva asset molto ridotti, dunque c’era ben poco da esigere in sede legale). Così, MySpace rappresenta oggi uno spazio in cui NewsCorp può presentare e commercializzare i propri film, programmi televisivi e contenuti di altro tipo. ABC e altre emittenti mainstream, inoltre, cominciano ad adattarsi al trend di convergenza, mettendo a disposizione lo streaming gratuito on-line dei propri contenuti televisivi con pubblicità embedded.
Tuttavia, tale processo di consolidamento dei siti di networking attorno a poche, importanti corporation non è ineluttabile. Esistono buone ragioni per sostenere che siti di networking minori – e meno commerciali – stiano divenendo sempre più popolari. E che i più giovani si stiano spostando dai network maggiori, come MySpace (dove in passato si tendeva a radunare il maggiore numero possibile di amici/conoscenti), ad altri più piccoli ed elitari, non immediatamente accessibili o individuabili da chiunque (specie i genitori che tentano di monitorare i propri figli).51
Si assiste, in realtà, a una coesistenza e interconnessione di media mainstream, new media controllati dalle corporation e siti Web indipendenti. Anche in questo caso, l’autonomia dei siti di networking non implica la concorrenza contro i media mainstream. In realtà, i servizi di networking possono portare all’ennesima potenza le possibilità dei canali mediatici tradizionali. Digg (attualmente al 24° posto nella classifica dei siti più popolari), ad esempio, può contribuire a che gli articoli pubblicati su FoxNews.com o sul sito Web del New York salgano nei ranking dei motori di ricerca. Essendo l’utente-tipo di Digg quasi sempre di sesso maschile e tendenzialmente in alto nella scala sociale (cioè un bersaglio-chiave, in termini pubblicitari), diverse importanti società stanno tentando, proprio mentre scriviamo, di acquistare il sito. 52 Analogamente, Facebook ha appena raggiunto un accordo con una serie di organi di informazione
48 (Murdoch, 2006)
49 (Boyd, 2006a e Newman, 2006); Rupert Murdoch ha illustrato la sua strategia riguardo a Internet in una recente intervista a Wired Magazine (Reiss, 2006).
50 Esistono molti altri esempi di media mainstream e Internet company che tentano di mettere a frutto il successo di
network di comunicazione sociale start-up basate su Internet. Yahoo! ha di recente acquisito Flickr.com (sito di photo sharing), Del.icio.us.com (sito di social bookmarking) e, da quanto si apprende, è interessato all’acquisto di Digg.com (servizio ibrido di social bookmarking e aggregazione news).
51 (Boyd 2006a e Boyd 2006b).
mainstream, tra cui il New York Times e il Washington Post, per un nuovo servizio agli utenti, cui consente con estrema facilità di linkare e mettere in evidenza articoli e foto dai siti Web dei giornali alle loro pagine personali.
Una delle ragioni fondamentali alla base della persistenza dei siti di social networking relativamente indipendenti, a prescindere dai loro legami con le corporate strategy dei nuovi media, è che la natura autentica di tali servizi appare critica. AOL, ad esempio, ha tentato di lanciare un’alternativa a Digg offrendo come incentivo, ai primi 50 utenti del nuovo esperimento, una cifra pari a 1000 dollari. Esperimento fallito. Perché? Perché gli utenti vogliono fidarsi dei propri spazi di socializzazione, e coltivare un legame personale con il loro sito. Di più: il “cool factor”, ossia l’adattamento culturale dello spazio sociale alle preferenze dei suoi utenti, è aspetto essenziale. Le società che tentano di inserirsi nel mercato dei new media sono molto attente nell’apporre il proprio marchio (o scelgono direttamente di non farlo) ai siti Web che rilevano, affinché gli utenti non siano pienamente consapevoli, nel momento stesso in cui sono bombardati da nuove pubblicità, di utilizzare il prodotto di una corporation, e siano quindi meno inclini a spostarsi altrove. L’impressione, dunque, è che, per le società legate agli old media, acquistare servizi di networking innovativi sia una business strategy più efficace rispetto alla loro creazione ex novo. Di conseguenza, più che alla separazione tra old e new media, o all’assorbimento dei secondi da parte dei primi, assistiamo al loro networking.
La politica elettorale nell’era del Web multimodale
Secondo la tradizionale teoria della comunicazione politica, l’influenza politica esercitata attraverso i media è largamente determinata dall’interazione tra élite politiche (nella loro pluralità) e giornalisti. I media agiscono quali gatekeeper dei flussi di informazione che plasmano l’opinione pubblica.53 Elihu Katz (1997) ha posto l’accento sulla trasformazione del panorama mediatico attraverso la frammentazione dell’audience, nonché il sempre maggiore potere che le nuove tecnologie di comunicazione ripongono nelle mani degli utenti dei media stessi. Il sempre più decisivo ruolo del social networking on-line e multimodale accelera tale trasformazione. Sostengono Williams e Delli Carpini (2004) che il nuovo panorama mediatico scardini il tradizionale “sistema monoassiale” dell’influenza politica creando una “multiassialità” fluida del potere, che si esprime in tre dinamiche differenti: (1) espansione dei media politicamente influenti e commistione tra notizie e spettacolo hanno innescato una battaglia, all’interno dei media stessi, per la conquista del ruolo di autorevoli gatekeeper degli scandali. (2) Espansione dei canali mediatici e trend in direzione di un flusso di informazione attivo 24 ore su 24, che hanno creato nuove opportunità per gli attori politici non mainstream che desiderino influenzare impostazione e carattere dell’agenda politica (come nel caso di Matt Drude, che è riuscito a bypassare i media mainstream con il suo “Drudge Report on-line”, portando alla ribalta lo scandalo Lewinsky che la CBS e altri media avevano sottaciuto per circa due settimane). Non solo gli odierni canali di informazione via cavo, attivi 24 ore su 24, raccolgono le notizie il più velocemente possibile, ma le trasmettono altrettanto rapidamente, eliminando di fatto il ruolo dell’editor nel processo di produzione delle notizie. (3) Infine, un così mutato panorama mediatico ha creato nuove opportunità e rischi per il pubblico che desideri interpretare ed entrare nel mondo politico. Secondo l’analisi di Williams e Delli Carpini, la diffusione di telefoni cellulari, videogame, I- pod e altre nuove tecnologie ha spezzato la dicotomia tra media e vita quotidiana su cui il grosso della comunicazione politica poggiava.
In linea con tale analisi, lo studio di trend recenti mostra come l’impiego di Internet a fini politici sia notevolmente incrementato con la diffusione della banda larga, ma anche con la sempre maggiore penetrazione del social networking su Internet.54 In qualche caso, gli attori politici si avvalgono di Internet per bypassare i media e divulgare il proprio messaggio più velocemente. Nella gran parte dei casi, però, l’obiettivo è favorire l’esposizione mediatica pubblicando post e immagini nella speranza che vengano ripresi dai media. Lo scorso anno, le elezioni per il Congresso Usa sono state contrassegnate da un improvviso boom dei new media, di cui si sono avvalsi candidati, partiti e gruppi di pressione dell’intero arco politico. La profonda polarizzazione del Paese su questioni quali la guerra in Iraq o temi di rilevanza sociale, si è accompagnata alla generalizzazione delle reti di mass self-communication. Quella campagna, dunque, ha marcato una svolta quanto ai modelli di politica dei media negli Usa e, probabilmente, nel mondo in generale. Un’infinita schiera di politici (in particolare, la deputata Nancy Pelosi) ha pubblicato video e creato pagine su Myspace.55 È sempre più diffuso, inoltre, il ricorso della political agency a tali network, di cui ci si avvale soprattutto come strumento per la politica dello scandalo. Una pratica comune consiste nel ricorso ai tracker, agli infiltrati, cui viene chiesto di seguire e spiare gli avversari politici nelle loro pubbliche apparizioni, registrandone parole
52 Digg è un sito di news e contenuti user-powered, i cui utenti, cioè, pubblicano link e articoli. Cui altri utenti, poi, danno un voto, il quale determina la visibilità dei contenuti stessi all’interno del sito. (Lacy & Hempel 2006)
53 (Peterson, 1956; Iyengar, 1994)
54 (Sey & Castells, 2004)
e atteggiamenti, nella speranza di ottenere un video pregiudizievole, poi immediatamente “postato” su siti Web popolari. È ormai di prassi lasciare, su Youtube e affini, clip imbarazzanti i cui protagonisti sono i rispettivi avversari politici, e che talvolta vanno a colpire direttamente il candidato di turno. 56
La politica dei new media rivela notevole capacità di innovazione, nel solco della cultura del social networking che ogni giorno gli utenti del Web reinventano. Nell’ottobre 2006, ad esempio, gli strateghi politici Usa hanno lanciato HotSoup.com, una comunità on-line che consente agli utenti di creare profili, “postare” messaggi e pubblicare immagini. Inizialmente, nella homepage del sito figuravano cinque commentatori intenti a condividere la rispettiva opinione attorno a una specifica questione. Spiccano, tra i fondatori di HotSoup.com, l’ex portavoce di Bill Clinton Joe Lockhart e Matthew Dowd, principale stratega di Bush nella campagna per le presidenziali del 2004. Il che è significativo del tentativo, da parte dei professionisti della politica, di cavalcare la tigre della “politica di Youtube”. Di recente, la MSNBC ha siglato un accordo di partnership con HotSoup che prevede, tra le altre cose, la creazione di un forum politico a link incrociati ove gli utenti possono discutere attorno a varie questioni, nonché la regolare partecipazione di opinionisti di HotSoup ai programmi MSNBC. Altra espressione dello spostamento della politica dei media nello spazio sociale di Internet è lo strumento, creato da MySpace.com, per la registrazione degli elettori nelle settimane che hanno preceduto le elezioni del 2006.57
Più in generale, le campagne elettorali si sono trasformate, per dirla con Philip Howard (2006), in “campagne ipermediatiche”, alterando di conseguenza dinamiche, forme e contenuti della politica dei media.
55 (Cassidy, 11 luglio 2006). Esistono molteplici esempi di politici che ricorrono a YouTube sia come piattaforma mediatica, sia come arma da adoperare contro i propri avversari con esiti variabilmente positivi. Nel Regno Unito, ad esempio, il leader conservatore David Cameron ha lanciato un suo vlog, che ha voluto chiamare “WebCameron” (www.webcameron.org.uk ) collegato a YouTube, da cui egli discute la nuova piattaforma dei conservatori mentre è intento ad assolvere a faccende domestiche come lavare i piatti o badare al proprio figlio. All’inizio dello scorso ottobre, un backbencher del Labour, Sion Simon, ha creato una versione spoof di WebCameron su YouTube. Dopo che il Guardian riferì la vicenda, il numero di visite al video spoof è salito alle stelle, passando dai 250 ai 50 mila contatti in meno di 24 ore (Sweney, 13 ottobre 2006). A fine ottobre, un altro sito spoof anonimo, www.webcameron.org, è venuto alla ribalta. Si tratta di un sito che contiene link a spoof di YouTube, e che si dà come missione “tentare di smascherare la bassa e insincera politica dell’immagine di David Cameron”. Altro esempio di uso politico di YouTube, spostandoci nel Minnesota, è E-Democracy, che ha ospitato il primo dibattito elettorale esclusivamente on-line tra il 9 e il 19 ottobre 2006. Tutti i candidati alla carica di governatore hanno partecipato, via streaming video, a un dibattito attorno a quattro temi fondamentali, per poi rispondere a dieci domande formulate dai cittadini. I quali, infine, sono stati invitati a commentare le varie dichiarazioni sia con messaggi di testo che attraverso un video o con un post (http://www.e-democracy.org/edebatemn06/).
56 Il caso più eclatante di “politica di YouTube” è costituito da un video nel quale il senatore della Virginia George Allen dice a un ragazzo di origini indiane “Diamo il benvenuto a Macaca (termine fortemente razzista che sta per “scimmia”, ndr). Benvenuto in America”. Il video ha scatenato un vero e proprio scandalo sui media mainstream, dando il via a una serie di inchieste sui precedenti razzisti di Allen. Ma occorre anche ricordare che Tramm Hudson, candidato repubblicano al Congresso per la Florida, ha perso le primarie in seguito alla pubblicazione di un video, di cui egli era protagonista, su Redstate.com (blog e sito di networking repubblicano). Video nel quale egli affermava: “So per esperienza che i neri non sono grandi nuotatori. Anzi, spesso non sanno nemmeno nuotare”. Il video, “postato” un giovedì, si è conquistato i titoli dei media locali il giorno successivo, e il martedì seguente l’un tempo sconosciuto Tramm Hudson già era la barzelletta del “Daily Show” (telegiornale satirico americano, ndt) alla tv (CBS.com, 26 settembre 2006). La politica di YouTube può anche avere risvolti a livello internazionale. Il breve clip, ad esempio, in cui si vede George W. Bush che massaggia le spalle del Cancelliere tedesco Angela Merkel, originariamente trasmesso da una tv russa, sarebbe con ogni probabilità rimasto fuori dal circuito mediatico. Dopo che il clip è stato postato su YouTube, però, la vicenda ha assunto rilievo internazionale. Chiunque, lo scorso ottobre, avesse digitato sul motore di ricerca la stringa “Bush and Merkel”, avrebbe ottenuto come primo risultato il video di YouTube. A dire il vero, YouTube non rappresenta un fenomeno limitato agli Usa. Secondo ComScore, gruppo specializzato in analisi sul Web, nel luglio 2006 YouTube ha ospitato circa 3 miliardi di stream video in tutto il mondo, meno di un quarto dei quali in siti americani. Per tutto il mese, una media giornaliera di 96 milioni di stream sono stati messi a disposizione in tutto il mondo, di cui 21 milioni negli Usa.
57 Si rimanda a http://www.myspace.com/declareyourself
Politica grassroots e New Media
Bennett (2003) individua i cambiamenti favoriti dalle nuove tecnologie mediatiche nell’universo della comunicazione politica. E scrive: “I canali di informazione dei mass media stanno facendo di tutto per cambiare gli standard di gatekeeping alla luce delle richieste di contenuti interattivi prodotti dall’audience stessa. Con il progressivo estendersi dei contenuti consumer-driven al di là delle chat o dei sondaggi istantanei, si presentano nuove possibilità per un’informazione politica di alta qualità regolata da standard più democratici e meno elitari. Attivisti esperti di tecnologie stanno scrivendo un software che consente la pubblicazione e l’editing di documenti in modo automatizzato e accessibile a tutti. I comuni cittadini possono condividere le proprie esperienze politiche ma, al contempo, sono tenuti a rispettare standard elevati in termini di qualità dell’informazione e valori della community. Sul lungo periodo, tali trend potrebbero rappresentare gli aspetti più rivoluzionari nel panorama dei new media”. 58
Rivoluzione che, però, potrebbe assumere forme inattese, non necessariamente conformi ad elevati standard di qualità dell’informazione. La politica dei new media dà vita a nuovi tranelli. Così, secondo il Pew Internet and American Life project, il più frequente uso “politico” che i cittadini fanno di Internet consiste nella ricerca di informazioni sui candidati di cui poco si conosce. Blogger e addetti alle campagne elettorali hanno risposto a tale trend avvalendosi del “Google bombing”, ossia i reiterati tentativi, da parte dei primi, di alterare i risultati delle ricerche linkando argomenti politici a parole chiave denigranti. Nel 2002, ad esempio, alcuni blogger hanno fatto sì che digitando nel campo di ricerca di Google la stringa “miserabile failure” comparisse come primo risultato la biografia di George W. Bush. Quanto a Tony Blair, è attualmente indicizzzato alla keyword “bugiardo”. Tornando agli Usa, nel 2006 un sex columnist ha lanciato un’altra “Google bomb” contro il senatore Rick Santorum, dichiaratamente omofobo, esortando gli altri blogger ad associare alla parola-chiave “Santorum” link attinenti all’omosessualità. Così, digitando “Santorum” nel campo di ricerca di Google avremo tra i primi risultati una serie di siti dedicati a omosessualità e devianza sessuale. In Francia, invece, quanti si sono opposti alla legge “Dadvsi” sul Copyright, proposta dal ministro Renaud Donnedieu de Vabres, hanno lanciato una campagna di “Google bombing” creando un link tra il testo di legge e la stringa “ministre blanchisseur” (ministro ricicla denaro), nonché un articolo che informa di una condanna nei confronti di Donnedieu de Vabres per riciclaggio, appunto, di denaro. Se i dati ottenuti dai sondaggi mostrano come i siti Web mainstream o di grandi società siano in genere i più visitati, il “Google bombing” sfida di fatto tale trend alterando la percezione, se non addirittura la realtà, delle più importanti notizie e opinioni fruibili dagli utenti del Web. Ancora un altro esempio di tale nuova, alternativa politica dell’informazione è rappresentato dall’uso di siti spoof, fittizi: whitehouse.org, ad esempio, è un sito che fa satira anti-Bush. E Whitehouse.com è stato un sito pornografico, almeno fino a quando la Casa Bianca presieduta da Clinton non ha minacciato un’azione legale. 59
Più in generale, diversi studi, tra cui quello di Shah et. al (2005), giudicano più che evidente il fatto che l’uso di Internet favorisca l’impegno civile.
L’interazione tra attori politici nel nuovo universo della comunicazione
Le analisi finora illustrate danno conto dell’interazione tra affari, attori politici e attivisti grassroots nei nuovi modelli di comunicazione, sempre più articolati rispetto ai mass media tradizionali. Si assiste, dunque, a un doppio processo di convergenza: tecnologica e politica. Tutti gli attori politici sono presenti sia nei mass media, sia nelle reti di mass self-communication. E tutti si pongono l’obiettivo di trovare ponti tra i due sistemi mediatici, al fine di massimizzare la propria influenza sull’opinione pubblica. In questo nuovo contesto, Williams e Delli Carpini tirano le somme del dibattito, tuttora in corso, che investe il campo della comunicazione politica. E scrivono: “Siamo convinti, forti di un certo ottimismo, che l’erosione del gatekeeping e l’emersione di una molteplicità di assi dell’informazione offrono nuove opportunità ai cittadini che desiderino sfidare il dominio delle élite sulle questioni politiche. D’altro canto, però, un certo pessimismo ci rende scettici riguardo alla capacità, da parte dei comuni cittadini, di avvalersi di tali opportunità, e diffidenti verso il grado in cui, pur nella loro molteplicità, gli assi del potere sono tuttora plasmati da ben più importanti assetti di potere politico ed economico”. 60
58 (Bennett 2003, p. 35).
59 Si rimanda a Greenfield (2006) per una descrizione dei progetti, da parte dei blogger politici, di utilizzo di ‘Google bombs’ in occasione delle elezioni del novembre 2006 e a Lizza (20 agosto 2006) per un’analisi giornalistica della politica di YouTube.
60 (Williams & Delli Carpini, 2004, p. 1209)
In realtà, nel presente articolo si è voluto mostrare come i corporate media siano ampiamente presenti nei network di comunicazione orizzontale, e come attivisti grassroots e movimenti sociali non siano gli unici ad impiegare efficacemente tali reti per comunicare sia tra loro, sia con la società. In più, gli assetti di potere hanno le proprie radici nella struttura della società. I primi, però, sono riprodotti e sfidati dalle battaglie culturali che investono in larga parte l’universo della comunicazione. Ed è lecito sostenere che la capacità, da parte degli attori sociali, di fissare autonomamente la propria agenda politica sia maggiore nei network della mass self-communication che nel mondo dei mass media controllati dalle corporation. E se l’antica battaglia per il dominio e controdominio sociale prosegue nell’ambito dei new media, l’inclinazione strutturale di tale spazio verso le autorità diminuisce di giorno in giorno, sotto l’effetto delle nuove pratiche sociali di comunicazione.
CONCLUSIONE
La comunicazione come spazio pubblico della network society
Le società si evolvono e cambiano, decostruendo le proprie istituzioni sotto la pressione dei nuovi rapporti di potere e costruendone di nuove affinché gli individui possano convivere senza auto-distruggersi, nonostante valori e interessi contraddittori. Le società esistono in quanto tali nel momento in cui costruiscono uno spazio pubblico in cui interessi e progetti privati possono essere negoziati al fine di raggiungere un perennemente instabile punto di accordo su di un processo decisionale che punta al bene comune, all’interno di una frontiera sociale fissata dalla storia. Nella società industriale, tale spazio pubblico era costruito attorno alle istituzioni dello Stato-nazione che, sotto le spinte dei movimenti democratici e della lotta di classe, hanno edificato uno spazio pubblico istituzionale basato sul legame tra un sistema politico democratico, una magistratura indipendente e una società civile collegata allo Stato.61 I processi congiunti di globalizzazione e sviluppo delle identità comunitarie hanno messo in questione le frontiere dello Stato- nazione quale elemento determinante nella definizione dello spazio pubblico. Non che lo Stato-nazione sia scomparso (se mai, l’opposto), ma la sua legittimità è andata scemando dacché la governance è globale mentre i governi restano nazionali. E il principio della cittadinanza entra in conflitto con quello dell’auto-identificazione. Il risultato è la crisi di legittimità politica di cui si è parlato. La crisi di legittimità dello Stato-nazione implica quella dei tradizionali modelli di società civile, nel senso gramsciano del termine. Senso che è in larga parte legato alle istituzioni dello Stato. Non esiste, tuttavia, alcun vuoto sociale né politico. Le nostre società continuano a funzionare sotto il profilo sociale e politico spostando il processo di formazione dell’opinione pubblica dalle istituzioni politiche all’universo della comunicazione, che è soprattutto strutturato attorno ai mass media. Ingrid Volkmer (2003) ha teorizzato l’affermazione della comunicazione quale sfera pubblica nella nostra peculiare società, scandagliando anche lo sviluppo dei network di comunicazione globale, costruiti attorno ai mass media, quale sfera pubblica globale nel suo stadio iniziale. Per molti versi, la legittimità politica è stata sostituita dalla comunicazione quale elemento di definizione dell’opinione pubblica nella network society, come chi scrive, assieme ad Amelia Arsenault, ha tentato di dimostrare in termini empirici in un articolo sulla strategia di comunicazione dell’amministrazione Bush con riferimento alla guerra in Iraq.62
Si tratta di una prospettiva analitica che, a mio parere, va estesa alle dinamiche storiche del contropotere, dacché emergono nuove forme di cambiamento sociale e una politica alternativa, avvalendosi delle opportunità offerte dai nuovi network di comunicazione orizzontale dell’era digitale, ossia l’infrastruttura tecnica e organizzativa che è prerogativa della network society. Di conseguenza, non solo lo spazio pubblico viene definito soprattutto nello spazio della comunicazione; quest’ultimo si caratterizza quale ambito sempre più contrastato, in quanto esprime una nuova fase storica che vede il fiorire di un nuovo modello di società attraverso conflitti, battaglie, dolore e spesso violenza (come tutti quelli che l’hanno preceduto). Nuove istituzioni vedranno, col tempo, un pieno sviluppo, e creeranno un nuovo modello di spazio pubblico, a noi tuttora ignoto. Quel momento, però, è ancora lontano. Quel che la ricerca accademica può rilevare è il tentativo, da parte dei detentori del potere, di riaffermare il proprio dominio sull’universo della comunicazione, a seguito del riconoscimento della sempre minore capacità, da parte delle istituzioni, di recepire progetti e istanze dei cittadini di tutto il mondo. Un tentativo di fissare nuove forme di dominio che si avvale principalmente dei mass media. D’altro canto, le élite dominanti si vedono sfidate da movimenti sociali, progetti di autonomia individuale e politiche insurrezionali che trovano un ambiente di gran lunga più favorevole nell’emergente universo della mass self-communication. In siffatte circostanze, ciò cui si assiste è una nuova fase di costruzione del
61 (Habermas, 1976)
62 (Arsenault & Castells, 2006)
potere nello spazio di comunicazione, a seguito della comprensione, da parte dei detentori del potere, dell’esigenza di raccogliere la sfida lanciata dai network di comunicazione orizzontale. Che significa? Tenere d’occhio quanto accade su Internet, come avviene negli Usa; controllare manualmente la posta elettronica se non si dispone di un robot in grado di fare altrettanto, come attestano le ultimissime scoperte in Cina; trattare gli utenti Internet come pirati e imbroglioni, come abbondantemente previsto dalla legislazione Ue, acquistando siti Web di social networking al fine di controllarne le community, entrando in possesso dell’infrastruttura di rete per fare discriminazioni sui diritti di accesso, e ricorrendo a infinite altre tattiche volte al presidio e alla circoscrizione di quello che è il più recente modello di spazio di comunicazione.
Come in fasi storiche precedenti, dunque, lo spazio pubblico emergente, fondato sulla comunicazione, non è predeterminato, nella sua forma, da alcun tipo di vincolo storico o necessità tecnologica. Al contrario, rispecchierà l’esito di un nuovo episodio nella più antica battaglia dell’umanità: quella per la nostra libertà di pensiero.
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