Broncopneumopatia cronica ostruttiva BPCO.
Della serie ” mamma mia come sono disgraziato “. Ma sarebbe meglio dire della serie ” Come ti faccio morire di paura, ti condanno a morte, ma ti salvo io, se paghi.”.
L’articolo che segue, viene riportato dal sito disinformazione.it . E’ il terzo di una serie che dovrebbe farci riflettere su molte cose, compresa la Broncopneumopatia cronica ostruttiva o BPCO.
Stesso copione: un’altra patologia inventata, col suo bravo acronimo ed il rimedio già scodellato, in omaggio al curioso costume della “ricerca” farmaceutica di non attendere che sia lo studio di una malattia a plasmare il rimedio, ma di sfornare prima il farmaco da produrre (e vendere), e pensare poi con calma a quale malattia, vera o falsa, vecchia o nuova, conviene appiccicarlo. Potreste osservare che è vero sfrigolìo di meningi stare ogni volta a coniare nuove malattie e costruire il tender dell’acronimo da attaccare alla locomotiva, e che sarebbe più semplice presentare la nuova gemma del genio farmaceutico quale rimedio per malattie già conosciute: ma cari amici, laddove la logica scientifica sembra risentire di uno scambio funzionale tra cervello e glutei, le uniche ragioni che contano sono quelle del cuore (di Wall Street). Dove andrebbe a finire la forza d’impatto dell’azione di marketing? E poi, vogliamo proprio far sprofondare l’Era della Scienza ai livelli del tempo in cui farneticavano empiriconi come Pasteur e Koch, e si blaterava di rabbia, carbonchio, tubercolosi?
Ma rientriamo nei binari. Una malattia che suoni il campanello dei potenziali acquirenti e porga con mano guantata il proprio biglietto da visita, istoriato da un altisonante “BPCO, Bronco-Pneumopatia-Cronica-Ostruttiva”, lascerà a bocca aperta il buzzurro onorato da cotanto personaggio. Un po’ come accadeva qualche secolo fa, di fronte a personaggi dalle ricche vesti, spadino al fianco, cappello con piume da far trascolorare d’invidia un pavone e, soprattutto, una lunga lista di titoli nobiliari che richiedeva lunghi minuti per essere sciorinata per intero. Volete mettere le borghesuccie “colite”, “ulcera”, “emorroidi” con la sangueblu Bronco-Pneumopatia-Cronica-Ostruttiva, che impegna la pronuncia quasi come la celebre sopra la panca la capra campa/sotto la panca la capra crepa? E che figurone fa il medico che spara questa complessa diagnosi con disinvoltura, rapidamente, guardando il paziente di traverso e con gli occhi semichiusi dal disprezzo, come a dirgli: “pezzo d’asino! Cosa vuoi capire tu di queste cose, ignorante come sei?”. Il fine di abbindolare il cliente, fargli credere si tratti di una nuova malattia prima sconosciuta, ma oggi identificata e curabile grazie ai progressi della ricerca, appare evidente.
Ed ora la solita domanda da plebeo semianalfabeta: ma che è ‘sta Bronco-Pneumopatia-Cronica-Ostruttiva-BPCO? Coscienti del nostro abbrutimento culturale, ce lo facciamo spiegare da numi della scienza: “La BPCO è caratterizzata da mancanza di respiro, tosse cronica e un’eccessiva produzione di muco. Occasionalmente si verificano casi di notevole peggioramento dei sintomi, denominati esacerbazione o crisi polmonare, che possono durare più settimane. La respirazione viene gravemente compromessa e i pazienti possono avere bisogno di ricovero ospedaliero. Le esacerbazioni sono eventi traumatizzanti, che comportano un maggiore stato d’ansia del paziente, un peggioramento dello stato di salute, un calo della funzionalità polmonare e un maggior rischio di morte”.
Dopo gli scongiuri di rito – i più efficaci dei quali sono notoriamente quelli localizzati ad hoc – emerge che non si tratta di una patologia, ma di una serie di sintomi propri di uno stato di infiammazione la cui genesi (la questione è sempre la solita…) può essere quanto mai variegata: fumo, malattie professionali, inalazione di polveri, stati enfisematosi, bronchiti mal curate o cronicizzate da eccessi antibiotici, e così via. Altro che……esacerbazione polmonare!
Una delle cose che non pochi medici sembrano ignorare – approfondiamo l’argomento data la diffusione di patologie bronchiali – è che sia sulla mucosa nasale che sull’epitelio interno del polmone sono disseminate cellule ciliate, così denominate per la loro foggia, pensata da un Tale che prima di creare l’uomo non aveva pubblicato statistiche truccate né ideato acronimi. Le cellule ciliate, per la loro stessa struttura, provocano un movimento convettivo dell’aria inspirata, inducendo un flusso non laminare, ma rotatorio. Forse qualche farmacologo o luminare istituzionale criticherà il Padreterno per questa bizzarria, ma il risultato è evidente per tutti coloro la cui scatola cranica non sia stata svuotata di materia grigia per far posto a certe benigne elargizioni: basta pensare che un tubo di gomma, poggiato su una superficie predeterminata, risulterà molto più lungo e voluminoso se arrotolato su se stesso anziché steso bello dritto. Questo significa che l’atto inspiratorio fa affluire una quantità d’ossigeno cospicua, a tutto vantaggio del risparmio nella frequenza respiratoria e di un minor logorio dei polmoni e delle strutture dedicate al loro movimento. In breve: si campa di più e meglio. Pur nella rudimentalità della nostra esposizione, questa, gentili lettori, è Fisiologia. Gli antibiotici, specie se usati impropriamente e per tempo prolungato, uccidono le cellule ciliate, creando col tempo le premesse per un’insufficienza respiratoria e turbe cardiocircolatorie. Basterebbe non incaponirsi a trattare forme virali come fossero batteriche ed usare, fin quando possibile, sostanze come lisozima, vitamina C, vitamina A – totalmente innocue nei dosaggi consigliati, eutrofiche e non inventate da qualche Sir Girolami, ma da quel Tale di cui parlavamo sopra – per eliminare buona parte di situazioni prese golosamente a pretesto per creare la cosiddetta BPCO.
La solita aberrazione – dunque – di confondere (o voler confondere) manifestazione di un male (sintomo) con malattia. La tragedia – per i “Girolamini” ed i beneficati dai droghieri del farmaco – sarebbe che si risalisse alla causa, e si affermasse (o meglio: si riaffermasse) quella mentalità medico-scientifica, sapientemente obnubilata negli ultimi decenni, che mira a rimuovere l’effetto rimuovendo la causa. Infatti, se il medico stacca la spina dalla cultura che ha il dovere morale di possedere ed arricchire incessantemente, e come i cavalli che trascinano le poche romantiche carrozzelle rimaste si riferisce alla limitatissima visuale consentitagli dal paraocchi delle Linee-Guida, farà gli interessi di chi dall’interesse soltanto è mosso. In altre parole: il farmaco xy non risolverà mai la patologia, ma darà (e non sempre) quel po’ di sollievo che basta a farlo acquistare da chi avverte un disturbo; e poi riacquistare, e così via. Cosa che non accadrebbe se risolvesse la causa del disturbo. Questa è una delle colonne portanti degli utili dell’attuale mondo farmaco-medico-sanitario e dello sconfinato potere abbinato.
Ma è scomponendo l’acronimo che emerge la parola magica: l’aggettivo “cronico”!! Mai risolvere le malattie, ma cercare di prolungarle, cronicizzarle, o farle considerare croniche. Al tempo stesso – attenzione perché è un punto cruciale – produttori di farmaci e salmerie al seguito faranno di tutto perché venga tacitato, con le buone o le cattive, chi parla di cause di determinate patologie, e di tutto farà perché nessuno possa disporre delle sostanze in grado di risolvere davvero queste cause, nessuno possa rendere note e praticare acquisizioni scientifiche ed applicazioni terapeutiche capaci di scronicizzare i disturbi e guarire (o cercare di guarire) certe patologie. Questa è la storia della lotta feroce, rabbiosa, da bava alla bocca – lotta di un Golia vigliacco e tremebondo – condotta contro la Fisiologia, la corretta concezione di Scienza, la pratica medica “secondo Scienza e Coscienza”, le vitamine, tante sostanze fisiologiche, farmaci vecchi ma insostituibili ed innocui, e chi basa sulla scienza e non su editti e linee-guida un moderno approccio a tanti mali che affliggono l’umanità: in particolare al problema cancro. Ma ne parleremo a conclusione di questi nostri scritti. Quello che, per ora, ci preme sottolineare è come tutto l’Apparato attacchi, come fosse un esercito schierato, con entrambe le ali, ed applichi contemporaneamente due strategie: una, palese e urlata al megafono, attuata attraverso l’infiltrazione nei poteri governativi e nella società e diretta a suffragare un’accezione di scienza che poco con la scienza ha a che fare, molto col denaro; una seconda, silenziosa, occulta, a quota periscopica, da novella Santa Inquisizione alla ricerca di eresie ed eretici, diretta a censurare, impedire, perseguitare, oscurare e, se qualche cavallo scappasse dal recinto, esecrare, calunniare, ridicolizzare. Oggi, per giunta, si fatica meno di un tempo: spesso basta ignorare e far ignorare, attendendo che la gracile logica, la labile memoria della gente e la seguente alata filosofia facciano il resto: “ne parla la tv?…ahhhh, allora dev’esser vero”; “non ne parla affatto??? Come pensavamo: era tutta una fola”.
Quanto diremo, a chiusura dell’argomento BPCO, ci sembra comunque segnali difficoltà un tempo più rare, quando non inesistenti, nella sfilata sotto l’arco di trionfo delle vendite. Di primo acchito non si scorge alcuna traccia, alcun effetto delle critiche severe al malcostume farmaceutico sollevate da ricercatori e medici moralmente integri, ed i tanti articoli o libri di denuncia cui fatto prima cenno parrebbero sfoghi improduttivi di idealisti che si sono illusi di poter cambiare il mondo. Ma forse qualcosa sta cambiando davvero.
Il Roflumilast, specialità Daxas, è stato prodotto dalla Nycomed per il trattamento della BPCO. Ovviamente – come da copione – c’è stata la consueta campagna preparatoria, con dati e statistiche estratti dal cilindro (il 5% degli italiani sarebbe interessato dalla neosindrome, i morti sarebbero 20.000 all’anno nel mondo….); gli “studi” sono stati pubblicati sul Lancet nell’agosto 2009 e comunicati il mese dopo a Vienna al congresso annuale della ERS (European Respiratory Society). Ma non tutto è andato liscio come altre volte. Anzi, all’inizio le cose sembravano mettersi maluccio, dato che il Panel della FDA aveva votato contro l’approvazione del farmaco. Nycomed è una multinazionale con sede centrale a Zurigo, con un fatturato di “appena” 3,2 mld. di € nel 2009, ma una gran voglia di fare meglio. Ha pensato fosse opportuno siglare un accordo con la Merck (fatturato: $12,1 miliardi) per il Daxas, e di puntare comunque sul mercato europeo. E qualche maligno potrebbe leggervi un “nuovo corso”, diretto a non indisporre il governo insidiando troppo la salute degli americani, sempre più sospettosi nei confronti di Big Pharma, ma propinare le ultime porch… – scusate – i farmaci più recenti agli indigeni delle colonie che compongono il vecchio continente: a noi, ascari bianchi. D’altronde la storia insegna come i nipoti dello zio Sam siano sempre stati bravi a declamare sacri princìpi ed ancor più ad imporli con la pelle altrui. Sia come sia, il farmaco alla fine è stato approvato dalla EMA (corrispondente europeo della FDA), ma con scarso entusiasmo e tutta una serie di specifiche limitative, dubbi e raccomandazioni, mentre il SMC (Scottish Medicines Consortium) ne ha sconsigliato l’impiego senza “mi” e senza “ma”. Quanto agli effetti collaterali più comuni (diarrea, nausea, cefalea, perdita di peso), si ammette che non sono ristretti a pochi soggetti con criticità peculiari, ma che appaiono più frequenti del desiderabile.
Tutto qui? Pare di no, dato che nei documenti ufficiali della EMA si parla di “.. rischio di disturbi psichiatrici come insonnia, ansietà, depressione nei pazienti che assumono Daxas e con potenziale rischio di suicidio. Da qui, la necessità di valutare attentamente il rapporto rischio-beneficio di questo trattamento nei pazienti con sintomi psichiatrici pre-esistenti o con una storia di depressione e di informare i pazienti di riportare qualsiasi cambiamento nel comportamento, nell’umore ed ogni ideazione di suicidio. Daxas non è quindi raccomandato in pazienti con una storia di depressione associata a ideazione o comportamento suicidario”. E poco oltre: “.. potenziale rischio di tumori maligni e la mancanza di esperienza in pazienti con una storia pregressa di cancro. Il trattamento con Daxas non deve essere iniziato o deve essere interrotto nei pazienti affetti da cancro (eccetto il carcinoma delle cellule basali)”. Per non tralasciare nulla, occorre considerare anche il “….potenziale rischio di infezioni: il trattamento con Daxas non deve essere iniziato, o deve essere interrotto, nei pazienti con problemi di infezioni acute gravi. L’esperienza limitata in pazienti con infezioni latenti come la tubercolosi, l’epatite virale o le infezioni da herpes”. Per non fare torto ad alcun aspetto, si rileva anche come un motivo di prudenza sia costituito da “…informazioni limitate o mancanti nei pazienti con insufficienza epatica. Daxas è controindicato nei pazienti con insufficienza epatica moderata o grave…i dati clinici sono considerati insufficienti per consigliare un aggiustamento della dose e quindi bisogna osservare cautela nei pazienti con moderata insufficienza epatica”.
Cari lettori, converrete che la nostra non è polemica pretestuosa: qui c’è veramente – a sfuggire l’accusa di maschilismo discriminatorio – da rigirarsi tra le dita quei gingilli comuni nel Meridione e raffiguranti un gobbetto, indice e mignolo protesi, cilindro in testa e un corno al posto delle gambe….
Non mancano – doveroso riferirlo per completezza – elogi del farmaco e minimizzazioni degli effetti collaterali da parte di augusti cattedratici, anche nostrani. Ma in questo campo ed in simili ambienti, bisogna meravigliarsi solo di meravigliarsi ancora di qualcosa.
…Basterebbe non incaponirsi a trattare forme virali come fossero batteriche ed usare, fin quando possibile, sostanze come lisozima, vitamina C, vitamina A – totalmente innocue nei dosaggi consigliati…
Dott. Di Bella, il trattamento a cui lei fa riferimento mi interessa molto, come faccio ad avere maggiori informazioni? Mi potrebbe aiutare in tal senso? Grazie.
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L’inciso al quale si riferisce è l’enunciazione di un orientamento generale, che di volta in volta può essere circostanziato in base alla situazione soggettiva. Non è quindi possibile dare suggerimenti omnibus dettagliando posologie: sarebbe davvero improprio e, personalmente, mi arrogherei un ruolo che non è il mio. Posso solo riferire – con preghiera di considerare quanto segue dato di informazione generica e non consiglio prescrittivo – quanto solitamente disposto.
Il Lisozima, reperibile sia sotto forma di specialità (occorre la confezione in compresse da 500 mg.) che di prodotto galenico, non pone limiti particolari di dosaggio, essendo totalmente innocuo. Un dosaggio utile viene considerato mediamente quello di 3-4 gr. (quindi 6-8 cp.) al giorno, distribuite nella giornata, fino a scomparsa della sintomatologia. L’efficacia, specie in affezioni delle vie aeree superiori, risulta corroborata facendo sciogliere in bocca la compressa come osse una caramella.
– La vit. C, reperibile sotto svariate forme, è sufficiente
somministrarla in ragione di ca. 1-2 grammi al giorno, preferibilmente a stomaco pieno.
– La vitamina A (quella…seria) può essere reperita presso farmacisti preparatori che travasano il liquido in boccette di vetro oscurato (la vitamina teme la luce e gradisce temperature fresche). Per periodi brevi (15-20 giorni) è possibile somministrare senza problemi 100.000 unità giornaliere ed oltre. Naturalmente solo un medico preparato può disporre le posologie più elevate ed i tempi di somministrazione più prolungati. Disponendo delle confezioni citate – per essere pragmatici – può essere sufficiente ricorrere a due-tre gocce al dì. Esistono anche specialità farm. (ad esempio Arovit), per le quali ci si atterrà alle posologie suggerite nel foglietto illustrativo.
Attenendosi a queste regole, è possibile vedere attenuarsi o scomparire tante forme virali (raffreddori in primis) che facilmente si complicano e si portano a fenomeni febbrili anche intensi: il tutto senza il minimo pregiudizio per l’organismo (anzi!).
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