Team Working
La negazione del KPI ( Key Posizioning Indicator )
A fare le cose non sono le procedure ma chi le esegue.
Le politiche sul personale sono pertanto il fattore strategico principale da tenere in considerazione per assicurare il successo delle attività.
Oggi sempre più spesso ai lavoratori è richiesto di saper lavorare in gruppo, la cosiddetta abilità di team-working. Una competenza trasversale che, essendo di grande importanza nei contesti organizzativi modernamente strutturati, viene valutata anche in fase di selezione delle risorse umane.
Ma cosa vuol dire esattamente lavorare in gruppo?
Innanzitutto cerchiamo di capire cosa si deve intendere per gruppo. Kurt Lewin (1948) definiva il gruppo “un insieme dinamico, costituito da individui che si percepiscono vicendevolmente come più o meno interdipendenti per qualche aspetto”.
Partendo dai concetti della teoria della Gestalt e dall’osservazione che le persone nei gruppi si comportano in maniera diversa da come si comportano individualmente, Lewin ha coniato il termine dinamica di gruppo. La dinamica di gruppo viene definita come un processo che genera forze psicologiche e che ha una forte influenza sul comportamento.
Lo spazio vitale comprende persone e ambiente come un unico campo dinamico, in cui ogni individuo viene modificato dall’ambiente e lo modifica a sua volta. Il concetto di campo si riferisce a un sistema globale di forze in movimento, le cui leggi non dipendono tanto dagli elementi presenti nel campo stesso, quanto piuttosto dalle loro relazioni.
In base ai fattori chiave che vengono maggiormente posti in luce e al livello di coesione presente, possiamo distinguere diversi tipi di gruppi: sono un gruppo le persone che stanno aspettando l’autobus o dei ragazzini che giocano, la famiglia, la squadra di calcio, gli abitanti di un quartiere, gli esercenti una certa professione, gli appartenenti a una nazione o a una etnia.
Il gruppo esiste quando gli individui divengono consapevoli che in qualche modo il loro destino è collegato a quello del gruppo stesso (“interdipendenza del destino”, Lewin) e non è riducibile alla somma degli individui che lo compongono.
Nel gruppo di lavoro oltre alla interdipendenza del destino emerge un altro aspetto caratterizzante che si può definire “interdipendenza del compito”. I gruppi di lavoro, infatti, nascono perché c’è un obiettivo da raggiungere, un compito da assolvere, tale che i risultati di ciascun membro hanno implicazioni per i risultati degli altri.
Questa interdipendenza sarà tanto più positiva quanto più sarà in grado di far emergere sentimenti di cooperazione e coesione tra i membri, favorendo una migliore prestazione del gruppo. Assumerà invece una connotazione negativa quando prevarrà la competizione.
Cooperando infatti i membri del gruppo coordinano i loro sforzi, si suddividono i compiti, si attivano per raggiungere l’obiettivo comune prestando attenzione ai colleghi e comprendendo le reciproche necessità e i reciproci punti di vista, lavorano in un clima amichevole e tutto questo genera un livello superiore di performance.
Ma vediamo quali caratteristiche occorrono per essere dei buoni membri per un team di lavoro. Oltre alle conoscenze e alle abilità che garantiscono l’apporto in termini di contenuti e che sono comunque fondamentali, per lavorare bene in team servono quelle competenze sociali e personali (soft skills) che consentono di interagire proficuamente con gli altri membri del gruppo al fine di raggiungere l’obiettivo comune, come ad esempio:
Capacità di ascolto attivo
Comprensione ed empatia
Capacità di dimostrare sincero interesse
Attenzione ai particolari
Capacità di riconoscere i propri errori
Capacità di negoziazione e mediazione nei conflitti
Capacità di comunicare attraverso un linguaggio comune (specie nei team multidisciplinari)
Disponibilità a porre l’obiettivo del gruppo al di sopra dei propri obiettivi personali.
Anche se non ci è mai capitato di cimentarci con un lavoro di gruppo a livello professionale, per comprendere quali di queste competenze possediamo o quali potremmo migliorare ci basterà analizzare situazioni che facilmente fanno parte del bagaglio di esperienza di ognuno di noi come ad esempio praticare uno sport di squadra o lavorare a un progetto universitario. Persino organizzare una vacanza o una festa con i nostri amici. Insomma, tutte quelle situazioni che sono caratterizzate da un obiettivo comune che dev’essere raggiunto in un tempo stabilito e dove sia necessario assegnare dei ruoli o degli incarichi a tutti i membri del gruppo.
Potremo focalizzare l’attenzione sugli aspetti di quest’esperienza che hanno condotto a un buon risultato e su quelli che invece avrebbero potuto essere gestiti meglio, sul nostro ruolo all’interno del gruppo e su come abbiamo agito o ci siamo sentiti nel ricoprirlo, su come sono state superate situazioni problematiche o di conflitto.
Questo esercizio di riflessione ci può portare a scoprire quali doti possediamo e potremmo mettere in campo per creare valore aggiunto in un team di lavoro e quali invece dovremmo curare maggiormente perché allo stato attuale potrebbero esserci da ostacolo o comunque non consentirci di dare il nostro meglio in questo tipo di attività.
Da qualche anno stanno prendendo sempre più piede in Italia metodologie di formazione non convenzionale che mettono l’esperienza al centro del processo di apprendimento con lo scopo di facilitare la trasferibilità nella propria realtà lavorativa dei comportamenti appresi nelle situazioni proposte dai trainer.
Si tratta della formazione esperienziale e outdoor che vuole approfondire il modo di essere e di relazionarsi delle persone nei contesti organizzativi. Lo specifico campo d’azione di questo tipo di formazione comprende l’analisi delle dimensioni socioaffettive legate ai rapporti interpersonali sul lavoro, la gestione dei conflitti, il senso e i significati che ogni persona attribuisce al contesto di appartenenza. Da qualche tempo, comprende anche l’opportunità di lavorare sullo sviluppo di qualità personali e sulla creazione di stati di benessere individuale e organizzativo.
Attraverso role play, business game, simulazioni e, nel caso della formazione outdoor, anche attraverso lo svolgimento di prove pratiche e attività fuori dall’aula, in contesti naturali, i partecipanti vengono coinvolti in attività dal taglio estremamente concreto, divertenti, creative e coinvolgenti in cui il gruppo di formazione diventa una sorta di laboratorio per la ricerca, l’osservazione, l’approfondimento e la condivisione di relazioni, comunicazioni, emozioni e vissuti tra le persone.
Il principio guida è l’apprendimento in azione e attraverso l’azione e l’analisi dell’attività svolta (debriefing) consentirà poi di uscire dalla metafora e focalizzarsi su come ciò che è emerso in questo contesto esperienziale possa trovare applicazione nella vita lavorativa di ogni giorno.
Possiamo quindi ben comprendere come questo possa rivelarsi utile in particolare per le attività di team working e di team building che si basano proprio sulla promozione della coesione e dell’affiatamento tra i membri di un gruppo di lavoro.
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